Dopo aver attraversato quattro decadi tra successi mondiali e battaglie sociali, Bryan Adams non sembra essersi perso nulla per strada. E lo Shine A Light Tour ne è la dimostrazione. Adams è uno di quelli che il rock lo fa davvero, lo suona ma soprattutto lo vive. Ha iniziato scrivendo pezzi che nessuno voleva cantare, «così ho iniziato a cantarli io», dice dal palco del Mediolanum Forum di Milano, centunesima data della tournée nonché ultima tappa per quest’anno (l’ultima parte del tour andrà in scena in Nord Europa e Stati Uniti tra marzo e aprile). Il concerto ruota fondamentalmente attorno ai brani di Shine A Light, l’album che, due anni fa, ha scritto a quattro mani con Ed Sheeran e che miscela il rock, pop e R&B: è The Last Night On Earth a dare il via alle danze, subito seguita da Can’t Stop This Thing We Started e Run To You, il brano scritto con il partner songwriting Jim Vallance (Ozzy Osbourne, Bonnie Raitt e Aerosmith).
Quello di Bryan Adams è uno spettacolo semplice: sul palco non c’è praticamente nulla oltre al maxischermo, qualche luce ben gestita e i cinque componenti della band con cui divide gli applausi (Keith Scott, Mickey Curry, Gary Breit e Solomon Walker). Ma d’altronde se ti chiami Bryan Adams non hai bisogno di nient’altro. Il cantautore di Kingston conosce bene i trucchi del mestiere; sa come far saltare il pubblico su Summer Of ’69 o come farlo emozionare sull’intramontabile (Everything I Do) I Do It for You, che arriva a metà show subito dopo When You’re Gone, altro grande classico della sua sterminata discografia. Ad arrivare dritta in faccia è la sua voce graffiata e graffiante (ma solida e dolce quando serve) che si sposa perfettamente con gli arpeggi che escono dalla sua Gibson Memphis dorata. C’è Somebody e c’è la meravigliosa versione acustica di Straight From The Heart – primo dei tre bis – che scatena un coro collettivo da parte dei dieci mila del Forum milanese.
Durante tutto il live mi sono chiesta se non fosse troppo azzardato paragonare Adams a Springsteen o Clapton, entrambi artisti che sono da preservare come archivio permanente di un rock puro. Ma alla fine dico che no, non è affatto azzardato. Il suo è stato un percorso di coerenza e, soprattutto, di lavoro costante. «A diciassette anni, mentre nella mia cameretta scrivevo canzoni e speravo di farcela, mai avrei pensato di essere qui questa sera davanti a voi. Non smettete mai di credere nei vostri sogni», dice col sorriso di chi non si sarebbe mai immaginato tutto questo. Due ore e mezza dopo, sulle note di All For Love, la sensazione è di aver assistito all’ennessimo miracolo del rock. Quel rock che può raggrinzire nella pelle, ma che sul palco suona ancora attuale, potente ed eterno. Everybody needs somebody like you, Bryan. Everybody needs somebody like you.