Una festa in casa propria doveva essere festeggiata con gli amici più importanti, vecchi e nuovi. E così è stato. Ma se poi sei romano e casa tua è anche uno stile di vita, un ecosistema, uno spazio vitale, beh allora l’impressione è che possa essere sufficiente per costruirci una vita intera, forse due, forse cento. Se così fosse, allora non c’è cosa più grande di un Circo Massimo gremito di fan di almeno due generazioni, contro tutto e tutti perché dopo ieri sera è chiaro ed evidentemente che a certi giornalisti bisognerebbe regalare un pallottoliere, molto grande. Tommaso Paradiso, Marco Rissa e Marco Primavera un sogno così forse non avrebbero neppure avuto il coraggio di confessarlo a sè stessi, figuriamoci ad amici e parenti. Eppure quei riferimenti, quegli eroi che stanno sui poster delle camerette, così piccole ma da cui tutto nasce e dove tutto si crea, sono anche quelli che ti fanno dire: «Perché non io?». Figli artistici degli Oasis, ieri sera le han suonate, numericamente parlando, addirittura a qualche rockstar internazionale (Roger Waters tempo fa nella stessa venue aveva fatto staccare qualche biglietto in meno).
A onor del vero Tommaso entra molto nervoso, sbaglia, stona, prende le ottave più basse. E noi, che questa band l’abbiamo seguita dai festival con duemila persone sappiamo che è uno di quelli che se a calcio sbaglia il primo, butta via tutta la stagione, ma così non è. Dopo Completamente e L’ultimo giorno della Terra l’intonazione migliora fino a raggiungere il suo apice durante Controllo eseguita con Rissa in acustico, abbracciati. Il punto cruciale, la svolta avviene all’entrata sullo stage della penna più autorevole e illuminata del panorama nazionale: Franco126. Sono queste le parole che utilizza Paradiso per introdurlo ma non le virgolettiamo perché in tempi non sospetti lo avevamo detto anche sulle nostre frequenze. Federico (questo il vero nome dell’artista romano) regala al pubblico una emozionante versione di quella Stanza singola che dà il nome al suo primo album solista.
La voce di Tommaso si scalda, con Franco essere lì diventa improvvisamente più facile. Fino a quel momento era stato il trionfo dei Thegiornalisti, non ancora quello del Tommaso frontman, del Tommaso verace che non perde l’occasione per strappare una risata al suo pubblico con qualche uscita fantozziana. È lì che prende coscienza di ciò che è successo, e infatti non vorrebbe più lasciarlo andare Franco126. Gli dice: «Ma dopo resti, sì? Ché dobbiamo far festa tutti insieme». Franco, con l’umiltà che lo caratterizza, dà un’ultima sbirciata a quel pubblico che in parte, ne ha appena avuto conferma, condivide con i Thegiornalisti, esprime (secondo me) un desiderio che tutti conosciamo ma che non diciamo perché porta male, fà un cenno col capo a Tommaso, e lascia lo stage con rinnovato amore verso quella città che ha significato e continua a significare tutto per lui.
Poco dopo è il turno di Carboni che canta Luca lo stesso cambiando nel finale il ritornello con “Sono sempre Tommy lo stesso” che non è altro che l’originale scritto da Paradiso prima che gli regalasse una delle hit più forti degli ultimi anni. Arriva Promiscuità, il brano più iconico per i fan della prima ora, e Questa nostra stupida canzone d’amore suonata al piano da Dario Faini tra la costellazione di smartphone che bagna di luci il monumentale Circo Massimo. Prende forma un climax ascendente dei brani più emozionanti della band: dopo Mare Balotelli, arrivano in serie Io non esisto, Proteggi questo tuo ragazzo e Dr. House che in un attimo fanno dimenticare la partenza diesel. Lo special del brano dedicato a Gregory House è uno spot alla grandezza dell’arte, nostrana ed internazionale (“…in Fantozzi, Bud Spencer, in Terence Hill, in Verdone, in De Sica e Leone, in Morricone e Tarantino, in Totò e Peppino”).
E proprio come in un film di Verdone, inizia a sentirsi nell’aria quel finale agrodolce, perché c’è un’estrema bellezza e una profonda poesia nella malinconia. Sette settembre, è già La fine dell’estate. Entra sul palco Calcutta e gioca a fare Bono Vox: una voce da fuori classe, tanto che la gente quando tira a voce piena quel ritornello si volta verso il compagno di concerto, se ce l’ha altrimenti verso chiunque abbia accanto per sfoggiare quella rugosa, italianissima espressione somatica che si traduce in “ma hai sentito anche tu?”. E sì, lo hanno sentito tutti cos’è diventata col lavoro la voce di Edoardo, l’ignaro pioniere dell’itpop naïf. È il turno di un’ospite, con l’apostrofo, Miss Elisa, che accompagna anche a questo giro il brano più grande della band, Tra la strada e le stelle. Nel finale regala un vocalizzo che incanta il popolo delle sigarette fino alle sette, prima di tornarsene dietro le quinte.
“Fine primo tempo” compare scritto sul maxi schermo centrale dello stage. Al rientro (dopo La luna e la gatta dove Jovanotti, Calcutta e Paradiso risuonano solo attraverso un mp3) riecco la band, Elisa e due hit maker seriali: Takagi & Ketra. Da sola In The Night ovviamente. Ma c’è ancora qualcosa che manca all’appello; dopo New York, arriva il finale di scaletta – che sembra essere stato scritto da Rovazzi – con i tre tormentoni uno dietro l’altro intervallati solo da Zero stare sereno (i brani sono: Riccione, in una versione che quasi pure un radical chic potrebbe digerire, Maradona Y Pelè e Felicità puttana, con cui si chiede il concerto). È una festa, ci sono abbracci, baci, un po’ di polvere, il sudore, le lacrime e qualche biglietto stropicciato che finirà lo stesso dentro a qualche cassetto, perché l’impressione è che questo è e resterà comunque il passo più importante della carriera di questi tre ragazzi.
Il più noto critico giornalistico (nel senso che critica sempre e comunque) ha utilizzato qualche giorno fa una goffa immagine calcistica per definire quello che sarebbe dovuto essere il flop del Circo Massimo, alla quale aveva allegato dati che poi ha disonestamente ritrattato questa mattina. Anche noi vogliamo giocare ad immaginare l’evento della scorsa notte come un momento calcistico: il Circo Massimo dei Thegiornalisti sarebbe senza dubbio un gol in un derby al novantatreesimo sotto la curva dei propri sostenitori, non di quella avversaria. Perché alla fine sulle critiche e sull’odio, vince sempre Love.