Pregno di riferimenti alla cultura americana – tra un accenno alla poetessa Sylvia Plath, una citazione di Leonard Cohen e un riferimento a Neil Young – Norman Fucking Rowell!, il quinto album studio di Lana del Rey, abbandona le sperimentazioni dei suoi predecessori per tornare alle atmosfere vintage di Born To Die. Al centro come sempre c’è l’amore; il disco è infatti un’immersione nella ricerca spasmodica della sua storia d’amore perfetta, tra una delusione, una ferita e un cuore spezzato ma allo stesso tempo è il racconto del fallimento e del decadimento del sogno americano. Alla base c’è una forte voce femminile che racconta il muoversi nel mondo e nelle relazioni di una donna ambivalente; da una parte debole e spezzata – come quella raccontata nella title track, vittima di un amore verso un uomo egocentrico e sbadato – dall’altra forte, che si promette di essere la luce del suo compagno quando si perderà nel Mondo, come canta in Mariners Apartment Complex, un brano nato dopo un appuntamento con un ragazzo che pensava che stessero insieme solo perché entrambi incasinati e tristi; la reazione di Lana fu scrivere un pezzo in cui si autoproclama ancora della relazione, mai spezzata dalla tristezza.
Norman Fucking Rowell! è un album dal sound omogeneo e fedele alla linea artistica che Lana Del Rey ha sempre perseguito: ci sono pochi beat ma tantissimi archi e chitarre. Poi c’è la sua voce vellutata e quei testi struggenti su basi cinematografiche (lynchiane mi verrebbe da dire) che oggi la rengono una delle songwriter più interessanti della scene mondiale. Un mix letale che sebra uscire direttamente da un vecchio grammofono anni trenta. Tra le tracks (che si susseguono senza creare rotture o cambi di stile) ci sono alcune che brillano in maniera particolare. In primis Venice Bitch, un pezzo di dieci minuti scritto per chi, a fine estate, vuole guidare per dieci minuti senza dover preoccuparsi della musica. Tra i brani più interessanti del disco c’è anche Cinnamon Girl, una preghiera personale in cui la popstar chiede di non essere ferita ancora dalla persona che ama. Il pezzo parte in sordina con pianoforte e beat sommesso per esplodere in un’apoteosi di violini nel ritornello. Il post ritornello rende giustizia al range vocale di Lana Del Rey: il ponte è sostituito da un ulteriore ritornello, dove i violini cedono il posto ad una base elettronica che sfuma in un outro strumentale struggente.
Happiness Is A Butterfly, che prende il titolo da una citazione dello scrittore Nathaniel Hawthorne, è invece una triste ma lodevole canzone sull’amore di due persone che la vita ha piegato e ferito irrimediabilmente. Su un piano triste e malinconico, Lana canta “If he’s a serial killer then what’s the worst that can happen to a girl who’s already hurt? I’m already hurt”, che riassume perfettamente il vibe disperato della canzone. In fine, l’outro track Hope Is A Dangerous Thing For A Woman Like Me To Have – But I Have It che è la chiusura perfetta di un album che racconta dolore e speranza: una canzone di quasi sola voce, con base sussurrata di pianoforte. Il brano racconta la storia di una donna che vorrebbe essere come le ragazze delle copertine patinate delle riviste ma ha vissuto e sofferto troppo e nonostante tutto, continua a sperare nella felicità.
Norman Fucking Rowell! è un album in cui Lana Del Rey non si avventura in nessun terreno inesplorato ma nonostante ciò l’ascolto è incredibilmente fluido. Questo non vale solo per i grandi pezzi dell’album ma anche per quelle canzoni che non brillano per originalità come California, uno di quei pezzi che, una volta ascoltati, non riesci più a toglierti dalla testa. Insomma, nelle quattordici tracce la cantante sceglie di essere onesta con i suoi fan e non provare a mascherare nessuna delle sue cicatrici d’amore. Addentrarsi in questo album è come fare una passeggiata nella mente della cantante, tra i suoi dolori e le sue gioie e bisogna farlo in maniera delicata, nel modo in cui è stato costruito il supo sound: senza frenate violente o cambi di rotta improvvisi.