Un lingotto dorato che contiene e protegge lo show, questa è sensazione che si ha guardando il mastodontico telo che avvolge lo stage con lo scopo di celarne le fattezze. Poi via le luci e, come in ogni notte d’amore che si rispetti, via i vestiti, l’enorme stage si spoglia. Inizia la lunga calda notte tra Coez e il suo pubblico. Non è la prima (è la terza) e forse per questo la prima che Silvano può godersi fino in fondo. Si conoscono bene i partner, è un rapporto intenso che ha attraversato tutte le fasi; dal flirt all’innamoramento fino alla maturità. Perché è chiaro che se Silvano è marchigiano ma tutti lo credono figlio della Capitale un motivo ci sarà. Non è questione di slang, di inflessioni, di atteggiamenti, Coez è romano fino al midollo perché le fasi cruciali del suo progetto – che per lunghi tratti si mescola indissolubilmente con la sua vita – passano sempre e comunque per Roma.
Una crescita evidente dal punto di vista degli arrangiamenti e della vocalità incorniciano un prodotto che dà l’impressione di non avere macchie o ammaccature. È una musica che, nel suo genere, non potrebbe essere migliore e fin dal primo ascolto dell’ultimo album ne era emersa una netta e nitida impressione. Anche gli amanti di Petrucci e Santana possono ovviamente confermarlo, perché è ovvio che non parliamo di una serata atta a riscrivere le regole della musica virtuosa (malgrado una sezione ritmica da rock band e un assolo di chitarra alla Stef Burns).
Quello costruito da Coez e collaboratori è più un momento di sussurri e carezze leggere sul collo, di brividi lungo la schiena e rossetto un po’ ovunque. Ogni tanto si può arrivare ad un morso, ad uno schiaffetto, ad una tirata di capelli. Specie quando Orang3 sale in cattedra col suo basso solidissimo e violento (forse la più grande sorpresa della serata in assoluto). Col suo strumento su quel palco così americano e Drake inspired, Orang3 è una rockstar colma di movenze e attitudine inedite per la scena italiana. E se vi sembra una frase sensazionalistica, posso ritrattare al massimo costringendo il paragone all’ecosistema dei musicisti. Ad ogni modo, non a caso, insieme al suo socio Frenetik, sono ad oggi la realtà più esclusiva e d’avanguardia del panorama nazionale per quanto concerne la ricerca del sound.
Ovviamente c’è un’altra figura mistica (quella sì, assolutamente esclusiva ed impossibile da intercettare da anni) nel progetto Coez, e Silvano ci tiene a tributargli lo scroscio di applausi del Palazzo dello Sport che è in grado di telecomandare come con un joystick: Niccolò Contessa, il genio dietro le quinte che riesce a far funzionare le cose. Storica personalità timida, riservata, sensibile, innovativa e nerd (in senso buono, o comunque preferiate leggerlo) che nel 2011 metteva le basi per la nascita del genere che progressivamente è andato a fagocitare il pop becero di Pausini&Co.
Contessa merita tutto il rispetto possibile e per questo non è necessario citare il nome del suo (ex?) progetto, tanto che mi son ripromesso di non farlo proprio perché voglio dare per scontato che anche nella enorme (maggioritaria) quota rosa presente nel pubblico di Coez, tutti siano a conoscenza di ciò che è stato e cosa abbia rappresentato quel progetto. Il repertorio di Coez contiene tre quarti delle classiche FIMI degli ultimi anni ma è comunque sempre sorprendente rendersene conto quando ci si trova ad ascoltarne venti o trenta consecutivamente senza perdere una barra o un ritornello. Dico barre impropriamente solo perché le minoranze vanno sempre e comunque rispettate (nella kermesse c’è anche l’esecuzione di Ali sporche, Occhiali scuri fatta con l’autotune e altre perle raccolte dal repertorio più underground di Silvano).
Il popolo romano risponde sempre ai classiconi; da Faccio un casino a La musica non c’è, da Le parole più grandi a È sempre bello, passando per Le luci della città e Domenica, ma non c’è differenza quando arrivano Jet, Forever Alone e La strada è mia, brano con cui si conclude il magico trittico romano di Silvano e la lunga estenuante notte di intimità tra lui, Coez, lo spezza cuori, e lei, la bella e impossibile, Roma.