Partiamo dalla fine. Epica. Sulle note di Enter Sandman, con oltre quarantasettemila persone unite in un’unica voce: “Exit, light/Enter, night/Take my hand/We’re off to never-never land”. Sopra la testa c’è l’acqua, incessante. Sotto le scarpe, il fango. Fino alle ginocchia. Ha iniziato a piovere a metà concerto. Tutti speravano che il tempo tenesse. Ma, forse, è stato meglio così. È stato bello anche per questo. Con quella pioggia battente a regalare ancora più epicità ad un concerto enorme. L’ippodromo SNAI di San Siro non aveva mai registrato un’affluenza tanto elevata. Per richiamare quarantasettemila anime in quel luogo erano necessari dei fuoriclasse. Erano necessari i Metallica.
Lo spettacolo inizia presto, quando ancora non sono scoccate le nove e inizia a decollare verso metà della serata. Complici due fattori: le condizioni atmosferiche (come già detto) e la scaletta. Inizialmente dedicata soprattutto ai brani più recenti del gruppo: quelli estratti dall’ultimo album, Hardwired… To Self Destruct, e questo – si sa – non aiuta. L’ippodromo è enorme, dispersivo. Da lontano si fatica a vedere il palco, che pure è enorme. E lo show fatica a decollare. Ma poi, la rivelazione: la pioggia. Inizialmente timida, poi giù a fiumi. Inizia a scendere sulle note di Sad But True: una delle canzoni più iconiche del gruppo statunitense che a questo punto prende in mano la serata, la domina. Anzi, è James Hetfield a prendere in mano la metal family (così la chiama lui) radunatasi a Milano e a spingerla avanti, fino alla fine, in una lunga cavalcata che è un climax ascendente.
E in questo climax ascendente trova posto anche un’inaspettata versione di El diablodei Litfiba, con una ripetizione dell’esperimento già andato in scena qualche tempo fa a Torino, quando i Metallica avevano omaggiato Vasco Rossi, reinterpretando a modo loro C’è chi dice no. Intanto, a scorrere insieme alla pioggia sono i brani più celebri del gruppo: Master of Puppets, Seek and Destroy su tutti. La serata prende forma, prende corpo, il muro del suono si fa granitico e il pubblico non rimane indifferente. Canta ogni brano, dalla prima all’ultima nota. Ripete i riff della chitarra di Kirk Hammett, si lascia andare sui suoi lunghi assoli.
L’ippodromo è una bolgia. La corrispondenza tra gruppo e pubblico è totale: unito, il grande popolo del metal, ribelle sotto quella pioggia che sembra essere un effetto speciale aggiunto. Che si pone in antitesi rispetto alle fiammate sprigionate dal palco. Ma la pioggia, nonostante la sua dirompenza, non riesce a spegnerle, così come non riesce a placare il fervore dei quarantasettemila di fronte al palco. Inarrestabili. Il finale del concerto è affidato alla doppietta di capolavori Nothing Else Matter e Enter Sandman. Due canzoni patrimonio mondiale dell’umanità musicale, metal e non. Il cielo inizia a riempirsi di fuochi d’artificio. La festa del popolo del metal si è consumata.