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C’è musica post mortem e per fortuna è quella de I Cani

Niccolò Contessa scrive, suona, canta, dirige ancora una volta tutta l’orchestra dei demoni mentali dei millennial battezzati da “Il sorprendente album d’esordio de I Cani” e svezzati da “Glamour” e “Aurora”

Uno spettro si aggira per l’indie italiano – o per quello che ne rimane. Nove anni di (quasi) silenzio, poi un giovedì di aprile qualunque Niccolò Contessa rispolvera il lenzuolo sotto cui diventa quel fantasma geniale che solo lui sa essere, tornando come l’imprevisto che tutti stavano segretamente aspettando con post mortem, quarto album de i cani. Nell’indielà sono bandite le maiuscole e l’elettropop va ancora forte. Si legge Mann, si studia Kafka, si saccheggia Tarkovskij – la prima traccia di tredici totali, io, si apre con un dialogo dal finale di Stalker, dove il protagonista riflette sull’assenza di anima e fede nel mondo moderno. Un leitmotiv del disco, ancora più esplicito quando tra le strofe di nella parte del mondo in cui sono nato Contessa scrive che qui “se qualcuno parla di anima è un invasato, un complottista”. post mortem, prodotto in collaborazione con Andrea Suriani, è un’autopsia del reale, un lavoro sulla nostalgia della linfa vitale che sembra evaporata dalle cose, dalle persone.

Sul mondo dopo la fine dell’autenticità. Finita forse in un buco nero, affresco di personaggi che rievocano quelli del sottobosco hipster-romano di Velleità: i falliti, i delusi, i depressi, i frustrati. O nascosta (in piena vista?) nel buio, dove abbiamo paura di andarla a cercare, se è vero che “per chi ha paura del buio, c’è poco amore nel mondo”. Si può f.c.f.t., fare come fanno tutti, optare per l’anestesia controllata del desiderio e dell’empatia con “un tormentone estivo da rinnegare” o “scoppiare a piangere in diretta per accontentare”. O si può provare a essere felice, ma solo dopo aver realizzato di essere completamente persi, come uno studente alla prima lezione, “come una di quelle macchine che tutto a un tratto non funziona e va in frantumi senza una ragione”. Vuoi vedere che, nonostante tutto, c’è ancora, da qualche parte, la nostra stupida, improbabile, niente affatto fotogenica felicità? Contessa scrive, suona, canta, dirige ancora una volta tutta l’orchestra dei demoni mentali dei millennial battezzati da Il sorprendente album d’esordio de I Cani e svezzati da Glamour e Aurora.

Sa riprenderli e far loro male, per dirla coi Subsonica, ma anche funzionare come un’inossidabile catarsi che ricompatta una generazione musicale intorno all’accettazione del proprio spaesamento. Una generazione immortalata nello sguardo decadente dell’incompreso Hanno Buddenbrook, citato nel cuore dell’album, che solo la musica può salvare per un attimo quasi eterno dal peso buttatogli addosso dal destino. post mortem è un monolite nel suo rifiuto del catchy, si faticherebbe a cavarne un singolo, non ci sono pezzi (s)vendibili – la demonizzazione del guadagno facile che ritorna, ancora, tra le parole dello Stalker di Tarkovskij nella coda di felice, che capiremmo se solo fossimo morti un po’ anche noi, o almeno la parte di noi che chiude gli occhi di fronte a chi “degli artisti interessa essenzialmente che cos’hanno mangiato, dove vanno in vacanza”. La pretesa che tutto questo avrà un senso, il mattino seguente, cantava una volta uno oggi passato a miglior musica.

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