Le radici non sono soltanto qualcosa che ci lega al passato, ma un sistema vivo, in continua espansione. Nella botanica, alcune piante sviluppano radici aeree, che non affondano nel suolo, ma si protendono nell’aria alla ricerca di nuovi appigli, adattandosi a ogni superficie possibile. Non si limitano a nutrirsi di ciò che sta sotto, ma si spingono verso l’alto, in cerca di luce, trasformando l’idea stessa di appartenenza. La musica de Il Mago Del Gelato sembra seguire la stessa traiettoria. Non esiste una risposta fissa alla domanda “Chi siamo?” perché l’identità non è un perimetro, ma un intreccio in evoluzione. I brani si muovono tra radici e deriva, tra un senso di appartenenza e il desiderio di fuga, creando un racconto sonoro che è allo stesso tempo casa e viaggio.
In un viaggio sonoro che attraversa confini e paesaggi immaginari, cosa rappresenta per voi Nicola Felpieri come protagonista di questo racconto musicale?
Nicola Felpieri nasce molto casualmente: eravamo alla ricerca di un nome e cognome che non esistessero, e questo è uscito praticamente subito, era destino. Il Felpieri è il protagonista inconsapevole di tutto l’album, non c’è ma è sempre presente, nessuno sa chi è ma tutti lo conoscono. Non è una figura chiara, nitida; resta sempre nell’ombra, alcuni brani parlano indirettamente di lui… la domanda infatti è rivolta a voi: noi non sappiamo chi è Nicola Felpieri.
Che poi questo viaggio ha una meta indefinita. Qual è per voi il rapporto tra movimento e smarrimento? C’è una destinazione oppure il senso sta nel perdersi?
Il viaggio è una delle esperienze più importanti che possa compiere un essere umano: ci aiuta a percepire l’umanità come una, senza frontiere né confini; espande la nostra conoscenza e ci insegna ad avere rispetto per tutte le culture, ad apprezzare la bellezza, la natura e la terra. A volte vorremmo che il viaggio fosse eterno, vorremmo che quella sensazione di tempo sospeso, di indefinito, di smarrimento, non finisca mai. Dietro c’è l’inizio e più avanti c’è la fine ma ora, adesso, siamo in viaggio e il movimento è la condizione necessaria alla sua realizzazione, le ruote continuano a girare. C’è poi un altro tipo di viaggio, che abbiamo bisogno di compiere in un modo diverso, dentro di sé o fuori da sé, alla ricerca di ciò che dà forma alle nostre esistenze e non sempre è necessario muoversi.
Spiegatemi meglio.
Abbiamo un rapporto molto potente e personale con il viaggio, a pensarci bene è una parte molto consistente del tempo che spendiamo insieme quando andiamo a suonare e viviamo come in una sorta di “bolla”, un mondo a parte: scopriamo nuovi luoghi o torniamo di passaggio, la vita on the road ci piace e una parte di queste esperienze ha inevitabilmente contagiato il processo creativo e le nostre canzoni.
Se il disco fosse un luogo fisico, reale o immaginario, dove si troverebbe e come sarebbe fatto?
In un mondo dove l’acqua è latte e il vino è the, il nostro album è una grossa casa dove le persone amano bere una bevanda che non è né acqua, né latte, né vino né the.
Il disco si apre con una fuga: Depistaggio. Cos’è che state cercando di fuggire o di lasciare indietro con questo primo brano?
Depistaggio è una fuga roots dalla società, un tentativo di cercare un’alternativa polifonica alla monotonia della vita di tutti i giorni, tutti i mesi, tutti gli anni. Si sgretolano le certezze, si creano nuove possibilità che sono in attesa di essere vissute e scoperte. Il concetto di identità sembra sfumare nel vostro racconto musicale, quasi a suggerire che non esista una risposta definitiva alla domanda “Chi siamo?”.

Pensate che l’identità sia qualcosa da costruire o da accettare?
Preferiamo contrapporre il concetto di roots, di radici, a quello di identità: ognuno di noi è fatto delle proprie radici, formate nel corso della vita. Viaggiare e conoscersi mette in condivisione tutti i percorsi individuali in una identità colletiva, d’insieme. L’insieme di queste radici forma un intreccio che diventa la trama delle nostre storie. Non abbiamo una definizione precisa di questa identità, perchè è dinamica e cresce insieme a noi.
Come coniugate il desiderio di sperimentazione musicale con il mantenimento della vostra identità artistica?
La sperimentazione è solo un mezzo per esprimere al meglio le nostre sensazioni. Fa parte della nostra identità ed è intrinseco nel nostro processo creativo portarla avanti verso scenari inesplorati.
Nel brano Sembrava deserto esplorate il confine tra realtà e allucinazione. Come affrontate voi stessi il conflitto tra ciò che appare evidente e ciò che si cela nelle pieghe più nascoste della percezione?
Se il brano potesse parlare vi direbbe questo: Una melodia ripetuta malinconica e struggente che proviene da un luogo non ben definito. Sembrava sabbia e invece è cemento, sembrava un cactus invece è un palo, sembrava vuoto e desolato e invece pullula di persone inquietanti. Può sembrare assurdo ma cerchiamo di immaginare i sogni. Spesso ci capita di condividere rilfessioni assurde, figlie della nostra immaginazione, di cui ci nutriamo musicalmente. Tutto ciò che si cela nelle pieghe più nascoste della nostra percezione è uno stimolo ed è linfa vitale per il nostro corpo e la nostra mente.

La vostra è musica emozionale ma allo stesso tempo prevede una certa preparazione tecnica. Come riuscite a bilanciare questi due aspetti senza che l’uno sovrasti l’altro?
La tecnica è uno strumento al servizio dell’espressione emotiva e dell’immaginazione. Ci aiuta ad esprimere velocemente quello che ci passa per testa. La vostra musica ha risvolti che si adattano perfettamente al cinema.
C’è la scena di un film esistente o immaginata, che vorreste ospitasse il vostro commento sonoro?
Abbiamo girato il cortometraggio Chi è Nicola Felpieri? proprio per rispondere anche noi a questa domanda. Corrisponde sia a una scena che abbiamo immaginato, sia a una scena che ora esiste ed è fruibile da tutti.
La domanda Chi è Nicola Felpieri? rimane senza risposta, lasciando spazio all’immaginazione. Che ruolo gioca l’incertezza nell’esperienza musicale che offrite?
Abbiamo molta premura di costruire l’incertezza: ci piace dare soltanto degli spunti o dei titoli e lasciare l’ascoltatore libero di costruire la propria narrazione. Nella musica costruiamo delle ambientazioni sonore e utilizziamo i testi in maniera ermetica per raccontare una storia che non è solo nostra. Noi stessi non abbiamo una visione in comune su tutto e continuiamo a interpretare le nostre stesse suggestioni.