Nasce verso la fine del 1400, l’arte del Kintsugi. Fossimo su una vecchia, ma sempre attualissima e pregna di nostalgia, pagina Facebook di aforismi vari leggeremmo: “Il Kintsugi è l’arte giapponese del riparare oggetti di ceramica rotti con finiture dorate, donandogli un aspetto nuovo. Rappresenta la lezione simbolica dell’abbracciare il danno, del non vergognarsi delle proprie ferite”.
Ci perdoneranno gli integralisti. Ricorriamo a una frase da bacheca dei primi anni del social blù per parlare di Balloonerism, l’ultimo disco di Mac Miller, perché per il tecnicismo ora non c’è spazio, forse più in là. Ora abbiamo soltanto bisogno di accogliere tutte le sensazioni che un disco postumo, già carico di pathos per mera definizione, ci restituisce dopo i primi ascolti. Tornando al perché una tecnica giapponese vecchia di seicento anni debba darci la definizione perfetta di quello che rappresenta, a oggi, la musica di Mac Miller, il fulcro della metafora sta nelle finiture dorate. Pensare alla delicata raffinatezza con cui le crepe si riempiono d’oro per permettere ai cocci di riabbracciarsi vuol dire avere già ben chiara l’immagine. C’è un’anima in frantumi, poi una mano che decide di dargli nuova vita.
La musica è il mezzo, la polvere d’oro utilizzata per colmare le fratture. Il fine è dare un valore alla sofferenza, nuova vita a qualcosa che si è rotto tempo fa, forse troppo presto. Se scegliamo di credere che la morte esista soltanto per chi ha paura di morire, dando credito a qualche antica teoria epicurea, imbocchiamo la via maestra di questa riflessione. Sì, perché Mac Miller ci parla di morte anche in Balloonerism, senza alcun timore o riserbo superficiale. Lo fa come ha sempre fatto, in maniera sfacciata e ironica. Si addentra con impeto nelle fratture profondissime di temi come la depressione, l’isolamento, l’infanzia travagliata. Il suo ultimo disco è l’ennesimo tentativo di dare un nuovo, incredibile, volto ai drammi che hanno costellato la sua esistenza. Non c’è paura, ma schiettezza. Ci sono mille crepe e un solo raffinatissimo tentativo di colmarle d’oro, fare musica. L’immaginario non si discosta dalla carreggiata dei lavori precedenti, ma non ce lo saremmo mai aspettato. Il racconto già intrapreso deve continuare e il fatto che si tratti di un disco postumo ci sbatte in faccia soltanto l’ennesima prova di quella sconcertante consapevolezza delle liriche. Si sta descrivendo, analizzando, denudando spudoratamente. Perché? Perché la morte non esiste, esiste tutto quello che c’è stato prima, il bello e il brutto.
Uno degli artisti più sensibili e senzienti della nostra generazione continua a parlarci, come se tutto non fosse mai cambiato in un giorno di settembre mentre il vento soffiava sulle palme della città degli angeli. Queste righe non vogliono essere l’ennesima languida commemorazione di cui non avevamo bisogno. Questo è un invito a sentirlo Balloonerism, non ad ascoltarlo. Perché sulla pregevole fattura dei brani, e ci arriviamo a brevissimo, abbiamo poche remore. Sentirlo per davvero, perché è quello di cui ha bisogno questo disco; la riflessione, dunque, appariva inevitabile. Che sia un disco dalle sonorità neo soul e jazz lo lasciamo dire a qualcun altro, alle grandi penne, quelle accademiche. Ad ascoltarlo ci si mette poco più di un’ora, a sentirlo giornate e notti infinite. Una nota a piè di pagina sulla costruzione, però, ce la concediamo. Non tanto sulla struttura dei brani che segue coerente la narrazione profonda e le metriche parlate dell’autore, quanto sull’utilizzo del suono. Il 2014, anno in cui viene accantonato questo progetto, ci chiarisce la tendenza alla sperimentazione che proprio in quegli anni stava caratterizzando il cambiamento discografico di Mac Miller. Che la figura di Thundercat fosse un plusvalore nelle produzioni lo avevamo già scoperto, ma in Balloonerism il fatto è lampante, oltre ogni ragionevole dubbio.
Gli elementi caratterizzanti sono molteplici. Li scioriniamo uno dopo l’altro: arrangiamenti psichedelici pieni di riverbero, bassi caldi, linee morbidissime di piano elettrico, chitarre dal retrogusto funky. C’è spazio anche per l’utilizzo di cori ed effetti vocali che amplificano il sentimento di alienazione. Non è stucchevole, risulta all’orecchio tutto dosato alla perfezione. La dimensione partorita è unica, straniante, onirica. Il contenitore perfetto per un racconto così intimo. Balloonerism è la voce di cui continuiamo ad aver bisogno. Vogliamo qualcuno che ci racconti il dolore, senza nessuna paura. Bramiamo la conoscenza della morte quando ci viene raccontata, ma ne siamo terrorizzati. Risiede proprio in queste ansie la nostra conclusione: per noi esiste la morte, per Mac Miller no. E continua a dircelo, senza alzare troppo la voce, come solo lui è in grado di fare. Il corpo non c’è più, l’anima è in frantumi. Nelle nostre pupille continua a brillare vivo il riflesso dorato, i raffinatissimi tentativi di rimettere insieme quei cocci, che non troveranno mai pace, ma “soltanto” inestimabile bellezza.