dark mode light mode Search Menu
Search

“I’m Tim”, il documentario su Avicii è un pugno nello stomaco

“I’m Tim” non è solo la storia del successo di Avicii, ma anche il riflesso di un’industria che chiede troppo e restituisce poco. Arte contro macchina, umanità contro business. E alla fine, a perdere sono sempre gli artisti

«Musica senza tempo. È questo che voglio fare». Con questa frase, pronunciata con la sincerità cruda di chi ha sempre lasciato che fosse la musica a parlare per lui, si apre AVICII – I’m Tim, il documentario disponibile su Netflix che racconta la vita breve ma intensa del deejay svedese. In pochi anni, Avicii è passato dal creare beat nella sua stanza a incendiare i palchi dei festival più importanti del mondo, con una rapidità che sembra quasi sfuggire alle leggi della gravità. La sua storia, narrata con tocco delicato ma senza sconti, assomiglia a quella di una stella cometa: un’esplosione luminosa che attraversa il cielo della musica elettronica, lasciando dietro di sé una scia indelebile fatta di ricordi, nostalgia e tracce iconiche. Il documentario pesca a piene mani – e con il supporto della famiglia di Tim – da un archivio di contenuti inediti, tra video e audio mai visti prima. È un classico del genere, certo, ma la vera differenza la fanno sempre le storie che emergono e chi le racconta. In questo caso, buona parte della narrazione arriva direttamente da Tim stesso, grazie a quel materiale che riesce a renderlo presente, anche quando non c’è più.

Si parte dai rapporti con la sua famiglia, si passa per i giorni difficili durante l’adolescenza, fino a quei primi esperimenti su FL Studio che hanno spalancato per lui la porta sul mondo della produzione musicale. La certezza di avere dentro quella scintilla artistica – quel fuoco che andava coltivato, educato, incanalato – ha spinto Tim a passare pomeriggi e notti intere a creare musica, spesso in compagnia dell’amico Filip, compagno di scuola e complice di mille esperimenti sonori. Un classico scenario da coming-of-age musicale. Eppure, tutto questo restava ancora nascosto, un hobby che non bastava a farlo sognare la musica come carriera. La svolta arriva quando incontra la persona destinata a cambiare tutto: Arash “Ash” Pournouri. Partner, co-producer, co-writer, manager – e qualsiasi altro ruolo servisse. Ash è stato per Tim molto più di un semplice collaboratore, una figura che gli è rimasta accanto per otto anni, guidandolo nella corsa sfrenata che l’ha portato dalle cuffie di una cameretta ai palchi dei festival più grandi del pianeta. L’ascesa di Avicii lo ha catapultato in una dimensione di popolarità globale, con un seguito incredibile e collaborazioni da far tremare i polsi: Nile Rodgers, Madonna, Chris Martin e la lista potrebbe continuare. Ma alla fine, il vero punto è un altro. Ognuno di noi deve fare i conti con la propria natura, i propri obiettivi e le circostanze che lo circondano. E se la tua vita non gira attorno a fama e denaro, è solo questione di tempo prima che qualcosa non torni. A fare da sfondo a tutta questa storia, infatti, c’è la critica feroce e disincantata a un’industria musicale spietata, malata, in cui l’umano sembra quasi un concetto obsoleto. Un mondo in cui gli obiettivi da raggiungere sono spesso disumanizzati, ridotti a numeri e tendenze da rispettare a ogni costo.

Tour incessanti, brani da produrre con specifiche precise per entrare nelle classifiche, per soddisfare le aspettative di mercato – tutto questo a discapito della creatività e dell’autenticità. Una macchina che sfrutta e consuma gli artisti, svuotandoli progressivamente, uccidendo non solo l’arte, ma anche le persone dietro di essa. Avicii è solo uno degli ultimi anelli di questa catena, ma la sua storia è un monito universale. Tim e Avicii hanno convissuto nello stesso corpo, alternandosi, cercando spazio l’uno dall’altro – fino a quando l’equilibrio è saltato. La sua scomparsa, nell’aprile del 2018, proprio nel momento in cui le cose per lui sembravano fossero tornate ad un equilibrio accettabile, ha sorpreso tutti ed è stata in parte avvolta da un certo alone di mistero per diverso tempo. Illazioni e supposizioni si sono sprecate nel tempo. I’m Tim non è solo la storia del successo di Avicii, ma anche il riflesso di un’industria che chiede troppo e restituisce poco. Arte contro macchina, umanità contro business. E alla fine, a perdere sono sempre gli artisti.