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Per Finneas il pop è una cosa seria, ma non troppo

Con “For Cryin’ Out Loud”, senza prendersi troppo sul serio, Finneas si riavvicina alle radici del pop, quello degli arrangiamenti snelli, ma reali, lavorati in studio di registrazione con i musicisti

Senza perdersi in voli pindarici che complicherebbero soltanto le cose, partiamo dalle conclusioni per arrivare agilmente al nocciolo della questione. For Cryin’ Out Loud di Finneas è un disco dal gusto artigianale. Di plasticosità peculiari del pop moderno ha ben poco, il lavoro sul suono è impeccabile. Il sample scaricato da librerie suoni infinite e loopato sulla traccia ha caratterizzato un crocevia fondamentale nel mondo delle produzioni, in negativo. Abusare di una tecnica derivante dai primi anni dell’hip hop ha standardizzato la qualità delle tracce sul mercato. Con la sola differenza che, per lo meno, ai tempi, i sample venivano ritagliati dai dischi soul o jazz e utilizzati con una certa sapienza. Partire dalle conclusioni ci permette di spiegare il perché Finneas con questo disco ritorni alle vere origini del pop, quello degli arrangiamenti snelli, ma reali, lavorati in studio di registrazione con i musicisti, distaccandosi di netto dal discorso di costruzione dei pezzi già citato. La pastosità delle sonorità di For Cryin’ Out Loud ci viene incontro in questo discorso: è evidente che dietro ci sia un lavoro da sala di incisione minuzioso e attento.

Ce lo dice subito un pezzo d’apertura come Starfucker. Tralasciando un testo che ci introduce a una certa malinconia ingiustificata nei confronti dello star system, le musiche sono degne della migliore ballade melodrammatica da colonna sonora. Linea melodica strappalacrime che lascia il segno senza alcuna remora, complici degli archi difficili da dimenticare. Proprio da questo concetto riparte la nostra analisi. Le linee melodiche sono precise, di immediata comprensione, non si lasciano andare a virtuosismi, sono fatte per essere “canticchiate”. Affiancate al pregevole lavoro su bassi ben incastrati, percussioni calde, chitarre pulite, rappresentano la carta vincente. Quasi tutti i pezzi del disco, che piaccia o meno, rimangono impressi in chi li ascolta. Lo si percepisce in quelli più ritmati, è una vera e propria lezione di hit. Involontariamente dopo un paio di ascolti si ha già la sensazione di averli fatti propri, senza intoppi. Qui ritroviamo l’essenza più genuina del pop di Finneas, l’orecchiabilità priva di fronzoli che ha caratterizzato i successi planetari da solista e in tandem con Billie Eilish. Da un lato la declinazione più schietta della figura di produttore, che lavora su pochi elementi di qualità, restituendo al risultato finale un’autenticità rara, dall’altra il lavoro autoriale che vanta una certa maturazione. La riflessione profonda sui rapporti familiari, l’onestà nel trattare tematiche di vulnerabilità emotiva. Fa tutto parte di un processo di invecchiamento del Finneas autore; invecchiamento nel senso nobile del termine, stesso concetto usato per il vino d’annata.

La parola chiave è schiettezza, su tutti i versanti costitutivi dell’album. Non pretende di passare alla storia come il disco della vita, diverte e lascia ottime sensazioni. Proprio per questo c’è chi potrebbe tacciarlo di una certa superficialità, se guardato da un punto di vista prettamente cantautorale. Ma forse è proprio la prospettiva con cui osservarlo a dover cambiare. Il discorso è generazionale: in una società che vive di ansie e paranoie di cui l’arte si fa sfogo e terapia, abbiamo bisogno di cose che ci facciano stare bene.
Non possiamo stare a farci più domande di quelle che già siamo costretti a porci ogni giorno. Ritorna ancora una volta quell’aspetto di genuinità che abbiamo già citato più e più volte: se i pezzi più lenti ci emozionano e quelli andanti ci divertono in maniera sincera, di cos’altro abbiamo bisogno? Finneas il concetto lo ha reso alla perfezione, curando gli aspetti fondamentali del suo ultimo album, For Cryin’ Out Loud. Senza stare troppo a prendersi sul serio, ce lo insegna la storia del genere, il pop è la cosa superficiale più impegnata di tutte e questo disco ne è una serena dimostrazione.