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L’equilibrio instabile di Nuken

Nuken mette a fuoco l’equilibrio instabile, il peso delle responsabilità e quel tremendo presentimento di essere la tessera del domino che farà cadere tutte le altre

In un’epoca di interrogativi e precarietà, non si capisce bene perché, la musica pare essere perentoria e risoluta (oltre che velleitariamente risolutrice) eppure, ascoltando Nuken, ho finalmente la percezione nitida di avere davanti un artista onesto in grado di mettere a fuoco l’equilibrio instabile, il peso delle responsabilità e quel tremendo presentimento di essere la tessera del domino che farà cadere tutte le altre. Nel brano Resta con me questo smarrimento è talmente forte che è proprio il punto di partenza della nostra chiacchierata.

Resta con me è un grido di aiuto o un atto di resistenza?
Resta con me è un personale grido d’aiuto. In certi versi diventa un pensiero molto egoista, al punto di affidarsi completamente a una persona per l’incapacità di affrontare il mondo o semplicemente per la paura di perdere qualcosa di prezioso. Per me è anche un modo di ammettere le proprie fragilità e chiedere umilmente aiuto.

La vulnerabilità è spesso una parola chiave per descrivere il lavoro degli artisti. Quanto sei disposto a metterti a nudo e dove tracci il confine tra te come artista e te come persona?
Non credo che ci sia un vero confine tra artista e persona; credo piuttosto che Nuken sia il mezzo di Emanuele per espellere pensieri, spesso paure, che normalmente non escono. E soprattutto trarne beneficio. Penso comunque che non puoi nasconderti dietro l’arte: siamo tutti esseri vulnerabili e, di fronte all’arte, le debolezze vengono sempre a galla.

A tal proposito: cosa vuol dire per te mostrare fragilità nella musica e come riesci a trovare l’equilibrio tra la vulnerabilità e la forza?
Mostrare le mie fragilità è un atto che mi fortifica; farlo attraverso la musica è qualcosa che può darmi equilibrio, anche se momentaneo. Ma soprattutto mi dà la possibilità di gridarlo alla gente, sperando di far sentire meno sola chi si rispecchia nei miei testi.

Quando scrivi, inevitabilmente ti poni domande per verbalizzare al meglio ciò che senti, ma ti capita mai di evolverti in qualcosa di nuovo proprio grazie alla musica? Se questo succede, non provi la sensazione di dover aggiornare il testo oppure ti piace cristallizzare proprio quella evoluzione?
Diciamo che spesso ho sentito l’esigenza di esprimere un lato di me che riesce a uscire anche grazie alle strumentali prodotte da Nathan. Quando succede, mi lascio andare. Non la vedo come un’evoluzione, ma come una scoperta.

C’è una parte di te che senti non riuscirai mai a esprimere completamente attraverso l’arte, per quanto ti sforzi?
Al momento no, e sono sicuro che questo percorso non sarà mai lineare, proprio per questo motivo.

Cosa pensi della memoria? Quanto conta ricordare per un artista e quanto invece è importante lasciar andare?
Io, ad esempio, ho la necessità di lasciar andare prima di raccontare e, appunto, ricordare. Spesso le mie canzoni non parlano di situazioni recenti; ho bisogno di assimilarle prima di vomitarle su un foglio.

Nuken, foto di Claudia Scognamiglio

Credi che il dolore sia necessario per creare qualcosa di autentico? Oppure esiste un altro tipo di spinta creativa che trovi più genuina?
Il dolore è qualcosa di molto forte e logorante, forse anche più potente di un sentimento positivo. Non credo sia necessario per creare qualcosa di autentico, ma sicuramente è qualcosa che ti smuove tanto. È comunque qualcosa che nella quotidianità si prova a nascondere, per questo c’è un’esigenza maggiore nell’esprimersi attraverso l’arte. Ma ciò non toglie che si possa fare anche con un sentimento positivo.

Quanto pesa l’imperfezione nel tuo lavoro? Pensi che sia qualcosa da accogliere o da evitare?
Sicuramente punto a fare sempre del mio meglio, ma se l’imperfezione può essere qualcosa che si addice a ciò che sto esprimendo, in certi casi viene accolta. L’obiettivo è sempre quello di esprimere qualcosa di autentico, più che performare.

Puoi spiegarmi la genesi del brano: c’è stato un fatto scatenante che ha mosso il tuo desiderio di scrivere o è più frutto di una sedimentazione?
È una di quelle canzoni che avevo dentro; semplicemente si è fatta scrivere nel momento in cui avevo fra le mani una strumentale potente come questa. È frutto di tante paure che si mescolavano dentro di me nel tempo, e l’esigenza di tirarle fuori è arrivata in maniera naturale.