Aver iniziato abbastanza presto a scrivere di musica mi ha aiutato davvero molto. Dapprima costruendo una specie di corazza in grado di proteggermi dalle critiche (che, vuoi o non vuoi, prima o poi arrivano), poi facendomi amare l’onestà intellettuale e quella mia personalissima verità sul mondo più di qualsiasi altra cosa. C’è un vero e proprio brivido che mi attraversa ogniqualvolta sto per scrivere qualcosa che sono certo darà fastidio a chi giudica a priori l’arte e chi la fa. Ecco perché parlarvi di Silverlines, il primo singolo da solista di Damiano David nel modo in cui io lo sento è quasi una goduria, oltre che un dovere morale. E non sottovalutatemi, lo so benissimo che schifare i Måneskin fa figo, perché a volte scelte come il bilinguismo risultano di plastica o, per dirlo in francese, paracule. Quando li ho criticati – perché sì, anch’io l’ho fatto quasi sempre – è stato solo perché lo pensavo profondamente (ma soprattutto per un motivo assai più nobile: la fede calcistica di Damiano). Quando poi è stato il tempo di esaltare le vibes simil-Idles di brani come Kool Kids, ho persino dimenticato che sul microfono dei Måneskin campeggiasse un adesivo circolare giallo e rosso con sù scritto il nome della mia squadra del cuore e un’altra parola vicino che certamente non rimanda alla sfera dell’elogio.
Ma oggi non parliamo di Måneskin, e nemmeno di calcio capitolino, parliamo invece di questo nuovo capitolo in solitaria – anticipato da un trailer a tratti fin troppo auto celebrativo, ma efficace se lo scopo era quello di tracciare una linea di separazione con il passato. Forse, che ci piaccia o no, Damiano David ha davvero trovato la sua dimensione nel pop melodico. Ma arrivo al nocciolo della questione: Silverlines è un brano eclatante, in cui la linea vocale delle strofe è così forte, nella sua sintesi, da non necessitare quasi di una produzione. Ci sono infatti solo appoggi felpati di pianoforte, ora a sostegno, ora in contrappunto, con la voce di Damiano David e nient’altro. È tutto così giusto che per l’ennesima volta l’assioma minimalista del less is more si mostra in tutta la sua veridicità. Non c’è fanatismo dogmatico e togliere, in questo caso, è l’unica scelta possibile se si vuol mettere in luce la cura costruttiva del pezzo. Labirinth (producer divenuto iconico a seguito del grande successo di Euphoria, di cui mi parlò Francesco Motta in una nostra chiacchiera) sceglie di utilizzare il pianoforte come un pennello a punta fine, e le pennellate sono poche e ben assestate. Arriva poi l’esplosione, anch’essa elegantissima e fortemente cinematografica. Forse un brano così vicino all’essere perfetto avrebbe meritato un ritornello più memorabile e forse questa sezione fortemente stratificata ed epica avrebbe funzionato meglio come special e soprattutto una sola volta, ma ciò non toglie che criticare questo pezzo significa essere offuscati dall’antipatia verso ciò che Damiano rappresenta, più che per quello che si è effettivamente ascoltato. Ciò che da sempre condanna la musica italiana, di cui il sottoscritto è comunque un cultore, è probabilmente proprio la provincialità del sound.
Tutto suona bene se inserito nel contenitore di riferimento, ma risulta improvvisamente poco credibile o eccessivamente derivativo nel momento in cui lo si mette a giocare il campionato dei grandi, il mondiale della musica. Ecco, ascoltando Silverlines non si ha mai la percezione di avere dinnanzi un brano di matrice italiana o di respiro territoriale. Forse è proprio questo il merito che hanno avuto prima i Måneskin (godendo con buona probabilità di un trattamento smodatamente ed ingiustificatamente lusinghiero fuori dai confini nazionali) e adesso Damiano David: quello cioè di permettere in tutto il mondo di toglierci, anche se solo mentalmente, dallo scaffale dei dischi Made in Italy. Se avete l’apertura mentale di sganciarvi dai pregiudizi, se siete in grado di ascoltare senza immaginare la sentenza che vi pioverà addosso da parte di chi si ciba della stessa vostra bella musica, se siete imprigionati in un personaggio, o infine se come me avete semplicemente piacere a ricercare l’imparzialità di giudizio, probabilmente apprezzerete davvero molto Silverlines. In caso contrario, le t-shirt dei Red Hot Chili Peppers sono sempre un evergreen nei marketplace e, se vi sapete muovere in modo intelligente, con qualche decina d’euro potete farvi un guardaroba di tutto rispetto.