dark mode light mode Search Menu
Search

Gli X Ambassadors sono tornati a casa

Sam Harris, Casey Harris e Adam Levin tornano con “Townie”, un album che è un viaggio di riconciliazione con le proprie radici

Dalla loro apparizione sul panorama musicale internazionale – che nostalgia ripensare ai primi singoli Strangers e Litost! – gli X Ambassadors non si sono mai allineati ad una classificazione ben precisa. Quando il trio formato da Sam Harris, cantante e frontman, dal fratello tastierista Casey Harris e dal batterista Adam Levin si è formato, nel 2009, sarebbe stato facile definirlo come una rock band, dal grande potenziale, ma pur sempre l’ennesima rock band. Tuttavia, il trascorrere del tempo, la fantasmagoria dell’ispirazione, il tocco musicale camaleontico, una serie di collaborazioni sorprendenti e di iniziative artistiche che suonano anche a ritmo di sensibilità e di inclusività hanno sovvertito la necessità di “categorizzarli” a tutti i costi, valorizzando tutti colori più vividi e le sfumature chiaroscurali del gruppo. Se da un lato questa peculiarità è stata canalizzata in brani celebri come l’indimenticabile ballata Unsteady e la super hit Renegades, dall’altro il loro estro si è dimostrato il valore aggiunto di collaborazioni artistiche di elevato profilo, capaci di arricchire e influenzare il pattern sonoro della loro discografia: da Lil Wayne agli Imagine Dragons, da Machine Gun Kelly a Jamie N Commons, fino ai giovani talenti che compaiono nel progetto collaborativo EG.

Come non ricordare, poi, l’inno alla rivoluzione personale BOOM, la cui cover è scritta in braille ed è stata per Casey Harris, nato cieco, la prima manifestazione fisica sperimentata visivamente del suo lavoro. Oggi, X Ambassadors non solo sono pronti al ritorno live in Italia, il 27 febbraio ai Magazzini Generali di Milano, ma si preparano anche all’uscita del loro quarto album, Townie, prevista per la primavera. A partire dai singoli che ne anticipano la pubblicazione, No Strings e Your Town, il disco rappresenterà uno scrigno di storie, narrazioni, episodi, spesso dimenticati e ambientati in città più o meno isolate, proprio come Ithaca, nello stato di New York, dove Sam e Casey sono nati e cresciuti (il video di No Strings è girato fra le strade di Ithaca e montato dal loro amico di infanzia Danny Pfeffer, in collaborazione con gli studenti della Cornell University). Insomma, un periodo davvero intenso ed elettrizzante per la band: concerti in Europa, a cui seguiranno quelli negli Stati Uniti e Canada, il lavoro in studio completato che si accinge a vedere la luce, i fan in trepidante attesa – me compresa! – che continuano a seguire sulle pagine social ufficiali gli snippets dei brani in uscita.

State portando sul palco anche i brani che ascolteremo in Townie, o sbaglio?
Ci troviamo in una fase cruciale e abbiamo deciso di includere nelle setlist alcuni dei brani che saranno contenuti in Townie, oltre a quelli della discografia passata, ovviamente. Una scelta, questa, che offre l’incredibile opportunità di sperimentare il nuovo materiale, direttamente a contatto con il pubblico. Nella dimensione live, il feedback è immediato e viscerale, impossibile da replicare in qualsiasi altro contesto, in particolar modo nell’era della musica digitale che, spesso, porta ad un ascolto in solitaria e ad un riscontro prevalentemente tramite opinioni e commenti online.

A quali feedback fate più attenzione?
A quali brani catturano l’attenzione, quali melodie risuonano più profondamente, e quali sonorità sembrano meno efficaci. Ora che si avvicina l’uscita dell’album, questa è una situazione davvero rara e stimolante: ogni concerto si trasforma in un’anteprima esclusiva, un frangente di condivisione e scoperta reciproca, tra noi ed i nostri fan. Una vera e propria connessione umana ed artistica, un dialogo aperto e dinamico tra artista e pubblico.

Il 27 febbraio suonerete ai Magazzini Generali di Milano, qual è il vostro rapporto con l’Italia?
Personalmente amo Roma alla follia, è una delle mie città preferite in assoluto. Ma l’Italia ha comunque qualcosa di speciale che è davvero difficile trovare altrove. Amiamo tutto di questo Paese: la gente, il cibo, la cultura, e soprattutto i fan. I concerti sono esperienze uniche perché i fan italiani hanno una passione e un calore che ti fanno sentire speciale, come se fossi a casa.

In un recente post Sam ha dichiarato che Townie sarà una «magnum opus». Come suonerà?
Sam
e Casey sono nati e cresciuti a Ithaca, in un contesto diciamo “suburbano”, con il sogno costante di superare quei confini per fare musica ad alti livelli. Una narrazione che molti possono immaginare ma che pochi vivono davvero. Un desiderio di evasione e realizzazione che li ha spinti ad esplorare la realtà della metropoli, New York. L’album, da una parte, rimanda al suono di una New York avvolta nell’inverno, nelle ombre e nella malinconia, pur mantenendo sempre una scintilla di luce e di speranza. Dall’altra, è anche un viaggio di riconciliazione con le proprie radici, dopo che gli X Ambassadors sono diventati una band, sono saliti sui palchi di tutto il mondo e hanno coronato un sogno.

Quindi?
Il disco racconta la riscoperta dell’amore per quei luoghi che un tempo non vedevano l’ora di lasciarsi alle spalle. È stato bello, dal mio punto di vista, assistere e contribuire al processo creativo da una prospettiva differente. Venendo da Los Angeles, ho sentito meno questo senso di isolamento. Lì musica, cinema, arte sbucano da ogni angolo. Quindi l’album è anche un invito per l’ascoltatore ad immergersi nella dimensione della città come realtà alternativa, lontana dai cliché ma vicina al cuore e all’anima di chiunque abbia sognato di trasformare il proprio isolamento in ispirazione.

Musica ed esperienze di vita che si fondono già nel titolo, Townie. Dunque il rapporto con la città natale si trasforma anche sulla base dell’evoluzione come artisti e musicisti?
Riflettendo sul nostro percorso, e sul percorso di evoluzione come persone e musicisti, vedo che cià che un tempo eravamo portati a rifuggire, oggi ci definisce. Prendi l’esempio del rock & roll: all’inizio era visto come qualcosa di troppo crudo, semplice, quasi caotico. Ma è proprio quell’autenticità che poi ha conquistato tutti. È un po’ come il rapporto con la città natale di Sam e Casey, Ithaca. Un tempo, non vedevano l’ora di scappare da quel senso di isolamento e monotonia. Ma girando il mondo, suonando con la band in città che brillano di una luce diversa, anche Ithaca ha iniziato ad avere una luce diversa. Il disco è intriso di questi significati, è come tornare a casa dopo un lungo viaggio, è un apprezzamento per le proprie radici, le stesse che – da bambini, da adolescenti – sembrano così stringenti e soffocanti. Con Townie, è un po’ come tornare a casa.

Avete scritto Deep End per la colonna sonora di Aquaman and the Lost Kingdom. Non è la prima volta che lavorate per una colonna sonora di un film. In futuro vi vedreste come compositori di musiche per il cinema?
Spesso accade che alcuni brani, poi scelti in ambito cinematografico, non siano composti con un film specifico già in mente. Brani come Renegades, nati originariamente per i nostri album, sono diventati parte delle colonne sonore di film o musica per pubblicità, in un connubio quasi casuale ma efficace. L’esperienza di Aquaman ha segnato una deviazione significativa da questo processo. Ci siamo immersi completamente nel suo universo, assistendo a una proiezione preliminare che ci ha permesso di catturare l’essenza e l’atmosfera per la colonna sonora. Un approccio che ci ha trasformati da semplici musicisti a compositori, lavorando a stretto contatto con le visioni e le narrazioni del film per realizzare qualcosa di unico.