«Un uomo non è mai uno. Continuamente egli cambia. Raramente rimane identico, anche per una sola mezz’ora», diceva George Ivanovitch Gurdjieff. Qualcosa che amplifica ulteriormente il cambiamento di una persona in un arco di tempo sono sicuramente i viaggi e l’essere costantemente in movimento da un luogo verso un altro. Queste sono alcune delle premesse con cui mi rincontro con Mostro a distanza di 225 giorni dall’ultima volta. Da allora è passata ben più di mezz’ora, è uscito il terzo capitolo della saga The Illest ed il suo tour in giro per l’Italia è arrivato all’ultima tappa, tornando finalmente a Roma, casa sua, per chiudere il viaggio.
A gennaio mi raccontavi del tuo cambio di etichetta e la soddisfazione che ne deriva, dopo molti anni in una realtà indipendente come Honiro. Ora a volte bastano un paio di singoli per ottenere la firma in major, come vedi questo fenomeno?
Il discorso dell’etichetta indipendente non penso sia una tappa fondamentale perché poi sta tutto nel modo in cui ti approcci alle cose, o alla tua capacità di poter sfruttare determinate occasioni. Per quanto riguarda la mia storia personale, il fatto di aver fatto tanti anni all’interno di un’etichetta indipendente, che poi è cresciuta anch’essa tantissimo, mi ha permesso di imparare a fare tutto da zero, con zero budget, quindi mi ha fatto capire e apprezzare il valore e il sudore che ci sta dietro ogni minimo traguardo.
Spiegami meglio.
Ho capito che significa tirare fuori dei dischi, dei video, delle cose senza avere le opportunità che ti può dare una major. Però è stata una scuola super importante che ha fatto sì che io arrivassi in major con una conoscenza di come vengono fatte le cose e quindi anche la possibilità di farmi valere perchè so quello che dico quando parlo di certe cose. Oggi, per certi artisti giovani, la troppa luce può essere abbagliante, quindi sta molto alla coscienza di questi ragazzi, di come si approcciano, a non pensare che è tutto oro quel che luccica, perché comunque l’etichetta non è un tapis roulant, non è che tu firmi con una major e a quel punto tu puoi stare con il culo sul divano e andrà avanti tutto da solo.
Tu al loro posto cosa faresti?
Ora è complesso pensare in certi termini perché io vengo da un’altra era del rap, non esisteva il discorso dei singoli e firmare con l’etichetta era qualcosa di impensabile. Però c’è da dire che un ventenne di oggi ne sa molto più di quanto potessi saperne io alla sua età, quindi alla firma può arrivarci con più coscienza e sfruttare quelle occasioni. Ma poi il lavoro è fatto da persone, non è che la major a fare tutto.
Quest’anno si è parlato molto di concerti e del fenomeno di lanciare oggetti agli artisti, quali credi siano le motivazioni?
Arriva dalla voglia di fare un video per TikTok e andare virali, non c’è tanto da ragionarci. Bisogna specificare che ai miei concerti non è mai successo, ma perchè questo tipo di episodi sono più una cosa da djset dove c’è gente che magari non è lì per te. Parliamo di ragazzini che per sentirsi protagonisti vogliono fare casino per il video su TikTok, ma nasce e muore lì. Io non so come reagirei, non ti aspettare che non mi dia fastidio, ma rompere i coglioni non è mai la migliore delle idee.
In effetti tu hai un rapporto molto intenso con i tuoi fan, a quasi un anno dall’uscita di The Illest Vol.3 quali sono i feedback ricevuti e le sensazioni a riguardo?
Ma oltre ad un punto di vista di feedback, che è andato molto bene, ho ricevuto proprio un sacco di affetto, senza neanche guardare vendite. Il progetto è stato accolto bene, nonostante fosse diverso rispetto agli altri e mi sento molto fortunato ad avere un pubblico che mi capisce e mi segue in tutte le mie evoluzioni. La prova del nove ancora una volta è stato il tour, in quest’era digitale dove esistono migliaia di numeri e non si capisce cosa è vero e cosa no, ti scontri realmente con la realtà al concerto. Cioè tu devi dare un motivo a quella persona di spendere soldi, mettersi in macchina, uscire con la pioggia o con il sole, fare la fila ed entrare al tuo concerto.
Cosa intendi quando dici “in quest’era digitale dove non si capisce cosa è vero e cosa no”?
Intendo che ci sono artisti che magari fanno il quadruplo dei miei stream, ma poi non fanno un tour manco a pagarlo. Altri invece hanno decine di dischi di platino a casa, poi però ai concerti non gli ci va neanche la zia e quindi è una realtà falsata, non dico che sono falsati i numeri, ma la realtà, quella che conta davvero.
In un’epoca in cui in Italia si tende a dire che sia tutto bello, a patto che faccia stream, e la critica musicale sembra essere scomparsa, è davvero tutto come viene descritto?
Questa è una bella domanda che dovresti fare ai tuoi colleghi. Pensandoci se parliamo di giornalismo sono pochi che effettivamente prendono una posizione distinta rispetto al resto, che vanno oltre al copia incolla del comunicato stampa. Io non ho problemi con le critiche, che arrivino da un fan o da una pagina, ma lo capisco più dal pubblico se ho fatto un bel disco e anche dove ho sbagliato.
Sei arrivato all’ultima data del tour, nella tua Roma, ora che farai?
Ti rispondo subito e ti dico che voglio andare in studio. Voglio sfruttare tutto questo periodo positivo, il fatto che sia andato tutto bene, chiudere, guardarmi indietro, essere contento, mettermi in studio e cominciare a guardare avanti. Certo non escludo che d’inverno potrebbe esserci occasioni di continuare a suonare live, però il tour a pieno regime si chiude oggi a Roma. È stato il tour più figo della mia vita, sono contento di poter dire questa cosa ogni volta che faccio un tour. Però in particolare quest’anno è stato proprio bello perché un tour così grosso, con tutti quei sold out, vedere tutta quella gente, io non l’avevo mai fatto. Per me l’unica cosa che conta è vedere la gente dal vivo perché dei numeri non me ne fotte niente.