dark mode light mode Search Menu
Search

Le emozioni sacre e profane dei Florence + The Machine a Milano

Agli I-Days Florence Welch ha risvegliato trentamila anime in un rito rock. Una connessione magnetica in grado di fondere il sacro e il profano.

Per l”apertura degli I-Days 2023 non potevamo sperare in nulla di meglio: 30mila persone hanno riempito l’arena naturale – l’Ippodromo SNAI di Milano – tutte in trepidante attesa della sacerdotessa Florence Welch, headliner della prima sera, anticipata da Sudan Archives e dal rock martellante dei Foals. Sono passati quasi quindici anni dalla prima volta di Mrs. Welch in Italia, era il 2009 e la cornice era quella, molto più intima e riservata, dei Magazzini Generali. Di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, adesso i suoi fan sono in attesa liturgica, accompagnati da corone di fiori, aspettando l’inizio di questo rito pagano atteso dal 2019, ultima apparizione di Florence + The Machine a Milano. E nonostante il caldo opprimente, le zanzare grosse quanto elicotteri ed il giorno infrasettimanale, cavolo, l’Ippodromo ribolle. Sudan Archives e Foals fanno il loro dovere, caricando ulteriormente l’atmosfera già elettrica, sin dal tardo pomeriggio, di questo giovedì sera, per poi lasciare il palco a colei per cui tutti sono qui.

L’allestimento ci prefigura che sarà una sceneggiatura semplice: un altare bianco a fare da sfondo alla esibizione dell’artista, con la band a raccogliersi attorno ad esso. E sulle note incalzanti dei primi brani tratti dall’ultimo album si apre il live: Florence appare in tutta la sua leggerezza e magnificenza, vestito bianco con svolazzi scenografici, ma non c’è realmente bisogno di altro, a strabiliare il pubblico ci pensa la sua voce. Resta una delle poche artiste di fronte a cui non noti la differenza se metti in play il disco: la voce è potente, trascinante, coinvolgente. Con Ship To Wreck c’è immediatamente il primo switch di atmosfera, la folla si scalda e si lascia trasportare dalle chitarre che accompagnano la voce inglese. Il contraltare immediato è l’appello fatto per spegnere tutti i cellulari e goderci Free, al chiaro di luna, pendendo dalle parole sapientemente scritte da Florence. Si crea un’alchimia strana, magnetica, sacrale tra l’inglese ed i 30mila presenti. Si guarda allo show con uno sguardo curioso, trepidante, ma anche contemplando la frontman sul palco. Che a metà concerto decide di scendere e di tuffarsi tra i suoi fan, regalando attimi di pura estasi alle prime file del pit. Glielo si legge negli occhi, dai maxischermi, sono emozionati, qualcuno non trattiene le lacrime. C’è una crasi tra sacro e profano, i due opposti si attraggono, mischiandosi tra sudore e commozione, ed in sottofondo parte Big God: quale colonna sonora migliore?

La scaletta è serrata, c’è poco spazio per i convenevoli, giusto un aneddoto secondo cui la madre di Florence mentre era in gravidanza si trovava a Milano (la prima volta in cui è stata qui, sostiene l’artista), poi si salta di nuovo con Kiss With a Fist, si balla scatenati con My Love (pezzo scritto durante la pandemia, It’s a Resurrection of Dance in memoria dei club chiusi e della solitudine generale). La durata totale non supera l’ora ed un quarto, ma va bene così, ci siamo emozionati, abbiamo ballato, non c’è stato tempo per un attimo di respiro. Florence ha condotto la sua messa, la sua liturgia ha ammaliato tutta Milano, accorsa in visita in punta di piedi, salvo poi scatenarsi a ritmo di chitarre e cullarsi con le dita che pizzicano l’arpa. Rabbit Heart chiude la funzione: andate in pace, nel nome di Florence. Amen.