Cantautore, entertainer, icona stoica del rock contro tutto e tutti. Roger Waters è ancora una delle vere ed indiscusse leggende della musica di cui possiamo godere – e non solo in cuffia. Il ritorno dell’ex Pink Floyd al Forum di Milano è un live che, dopo più di cinquant’anni di carriera, dovrebbe avere il sapore di un addio, invece finisce per essere una grandiosa celebrazione di quello che è, ma soprattutto di quello che è stato. Un’eccezionale produzione e uno show da brivido sotto ogni punto di vista, dalla scaletta, articolata in due atti proprio come se fosse uno spettacolo teatrale che ripercorre i momenti salienti nella carriera di Waters con e senza Pink Floyd, alla scenografia strabiliante che accompagna i virtuosismi del musicista e della band (Gus Seyffert, Joey Waronker, Dave Kilminster, Jonathan Wilson, Jon Carin, Robert Walter e Nigel Godrich). L’allestimento ideato e costruito per questo tour ha una precisa simbologia. Una struttura a croce, che si estende a mo’ di passerella e che permette di seguire ai fan le gesta di Waters ovunque essi siano grazie a dei maxischermi, ci permette di ripercorrere la narrazione della sua vita, come se stessimo scorrendo le pagine di un libro epico.
Le sue illustrazioni sono fotografie d’epoca con Syd Barrett, Nick Mason e Richard Wright, un triangolo gigante interamente fatto di led e che vuole richiamare la storica copertina di Dark Side Of The Moon – un gioiellino che proprio quest’anno ha compiuto cinquant’anni – martelli incrociati, una pecora che compare su Sheep e persino Algie (chi è fan sa!) che ruota sospeso nell’aria. Al racconto musicale viene affiancato quello politico, un chiaro invito alla reazione. La capacità di unire il suo genio creativo alle questioni sociali più urgenti e necessarie fa di Roger Waters uno dei rocker più seri in circolazione. Dall’attacco spregiudicato contro Ronald Regan, definito un criminale di guerra, Barack Obama, Donald Trump e l’attuale Presidente Joe Biden, a quello contro la violenza della polizia, l’incarcerazione di Julian Assange, l’uccisione della giornalista Shireen Abu Akleh e la guerra. Il cantautore non vede nel suo ultimo tour uno strumento fine a sé stesso, quanto un campanello d’allarme per il presente e un monito per il futuro. Non perde l’occasione per rivendicare il suo sostegno ai movimenti sociali come quello di Standing Rock e il temibile Doomsday Clock, ovvero l’Orologio metaforico dell’Apocalisse che scorre inesorabilmente dal 1947 su iniziativa di un gruppo di scienziati e ricercatori dell’Università di Chicago. Il nostro tempo sta effettivamente scadendo: come vogliamo utilizzarlo al meglio? Come possiamo fermarci prima che i danni siano enormi e le conseguenze irreparabili?
Roger Waters cerca le risposte tra gli accordi delle sue canzoni, i giri di chitarra che hanno emozionato e segnato intere generazioni, magari cambiandone anche la traiettoria, i sogni, i desideri o le aspirazioni. I brani del repertorio floydiano come Comfortably Numb (eseguita in acustico), Another Brick In The Wall, Wish You Were Here e Shine On You Crazy Diamond, si intrecciano con altrettanti pezzi a cavallo tra rock e introspezione del suo repertorio solista The Powers That Be, Déja Vu, Is This The Life We Really Want? e The Bar (Reprise), dedicata al fratello scomparso meno di un anno fa. Insomma, Waters convince tutti, tenendo in pugno i diecimila con la sola forza della sua voce, della sua chitarra e del suo immutato carisma. «Prendete posto signore e signori», aveva annunciato la sua voce poco prima che le luci si spegnessero. «Ma prima che vi mettiate comodi ricordate di rispettare chi vi sta vicino. Per favore spegnete i cellulari. E se siete tra quelli che amano i Pink Floyd ma non reggono le mie posizioni politiche beh fottetevi, andate al bar». Quello che rimane della prima data milanese del This Is Not a Drill Tour è la certezza di uscire dal palazzetto con la consapevolezza che certi musicisti giochino proprio un’altra partita una volta scesi in campo. Piaccia o meno, questo è Roger Waters.