Una donna forte, una moglie, una madre, una professionista estremamente determinata e stimata a livello internazionale. Un direttore d’orchestra all’apice del successo, Maestro della Filarmonica di Berlino, insegnante appassionata. Tutto questo, e nient’altro, sembra rappresentare Cate Blanchet nel ruolo di Lydia Tár. Ma questo è solo il biglietto da visita del nuovo film di Todd Field. Un biglietto da visita troppo imponente rispetto al personaggio e alla storia che intende introdurci. Seguendo la malsana tendenza che evidentemente negli ultimi tempi sembra aver costretto in modo indiscriminato tutte le produzioni a portare in sala opere della durata minima accettabile di due ore per i più modesti e oltre le tre tra i più pretenziosi, Field torna al cinema dopo quindici anni di inattività con un film dall’insana e immotivata durata di centocinquantotto minuti.
Nelle quasi tre ore la storia e l’azione si perdono e si costituiscono solo di brevi accenni o dubbi che minano l’integrità della compositrice, o meglio dell’immagine che lei ha dato al pubblico. Una donna che ce l’ha fatta in un mondo di uomini, omosessuale e madre, fondatrice di una borsa di studio per sole donne e ispirazione per molte di loro. Il dipinto che Field fa di questa facciata è armonioso, bellissimo e composto di inquadrature affascinanti – qualità in buona parte dovuta dalla struttura stessa del teatro berlinese – ma è troppo: troppo lungo, troppo costruito, troppo ovattato. Tutta l’ingannevolezza della protagonista si riflette sulla struttura della narrazione. Dopo aver spiegato per più di metà del film tutta la teoria e la storia della musica classica, Field ogni tanto ci degna di qualche momento di suspense e mistero (che poi sono stati tutti raccolti nei trailer a dir poco ingannevoli) ma l’azione tarda a svilupparsi. La rottura nell’idilliaca vita di Tár è la ricomparsa di una sua studentessa che la accusa di averla ingannata e sedotta, dopodiché abbandonata a un destino mediocre.
La tragedia del suicidio della ragazza porta inevitabilmente alla decadenza della vita e della carriera di Tár. Ma tutta l’azione si svolge di nascosto, tramite mail, sguardi, fughe e paranoie. Di fatto, non c’è azione da parte della protagonista interpretata da Cate Blanchet, se non riguardo il proprio lavoro. Passivamente subisce le ire della moglie, l’abbandono della sua assistente, il fascino di una nuova violoncellista del complesso. La sua carriera, come il film stesso, finiranno in Medio Oriente, dove Tàr dirige un concerto per musicare dal vivo la sigla di un videogioco. Un thriller? Un dramma? Una biografia? Un prodotto tardivo ed evoluto del movimento me too? Il viaggio di un eroe in involuzione? Queste le domande che avrete uscendo dalla sala. La certezza è che Tár è un film che si fa sfuggire l’occasione di raccontare.