Con oltre undici milioni di ascoltatori di Spotify, gli AJR sono il trio multiplatino che vuole provare a riscrivere le regole del pop nel ventunesimo secolo. Nel backstage dell’Alcatraz, dove la band si è esibita per la prima volta, incontro due Adam e Ryan Met – i due terzi del gruppo, Jack non è presente. «Siamo contenti di esibirci a Milano, ma fermandoci solo per un giorno non abbiamo avuto il tempo necessario per visitare la città», mi confessano. Gli chiedo come sia una giornata tipica in tour: «È letteralmente come trovarsi in un parco giochi. Pensa che in passato alcuni fan ci avevano rubato diversi computer e parte dei nostri strumenti. Non è mai più successo, ma credo perché la nostra security sia migliorata di gran lunga rispetto a quei tempi (ridono ndr.)». Sul nuovo show, invece, aggiungono: «Siamo dei grandi fan di Broadway e abbiamo cercato di rendere l’intera tournée come se fosse uno spettacolo teatrale, ricreando il perfetto equilibrio tra un concerto vero e proprio e uno show, mostrando anche alcuni aspetti inediti legati alla realizzazione delle singole canzoni».
Eppure gli AJR hanno iniziato come molti dei loro colleghi. Prima dei club europei e dei palazzetti statunitensi, il loro palcoscenico era la strada. «Non ci manca molto di quel periodo. È stato un momento molto particolare della nostra vita. Ti esibisci per un gruppo di persone che non sono lì per vederti e magari non ti vogliono nemmeno, ma questo ci ha permesso di migliorarci, di affinare le nostre abilità come musicisti e di capire quale tipo di melodia facesse voltare chi finiva per ascoltarci mentre era di passaggio. Penso che questa attitudine si sia riversata nel nostro odierno concetto di performance. Vogliamo intrattenere, vogliamo che ogni canzone sia accattivante e credo che quell’esperienza, per quanto tosta,abbia messo le basi per definire il lavoro e l’identità presente degli AJR», mi racconta Ryan. Adam conferma quando detto dal fratello: «All’epoca non c’era il rischio di commettere degli errori. Portavamo delle canzoni originali e delle cover, ma siccome al tempo nessuno era veramente interessato a quello che dicevamo o suonavamo, niente poteva essere sbagliato. C’era una certa libertà nell’essere buskers che oggi non possiamo più permetterci di aver». La libertà creativa del trio passa anche dall’aver fondato un’etichetta discografica indipendente – la LARJ Productions – grazie alla quale Jack, Adam e Ryan riescono ad avere il totale controllo su ogni aspetto legato alla loro musica: dalla scrittura alla produzione, dal mixaggio alla masterizzazione. «La nostra label è nata principalmente per necessità. All’epoca non conoscevamo nessuno nell’industria musicale e non avevamo abbastanza soldi da investire, così abbiamo deciso di imparare tutto quello che potevamo su come creare un’etichetta discografica».
Un settore che ormai sembra essere pienamente dominato da Tik Tok. «Ha trasformato l’industria. Noi abbiamo abbastanza difficoltà con questo strumento, anche se le nostre canzoni funzionano molto bene lì sopra. Ti consente di raggiungere quante più persone possibili, che non fanno necessariamente parte della tua fanbase e sono molto esigenti; sanno quello che vogliono. Quando abbiamo iniziato, pensavamo solo a creare musica e a costruire un nucleo che potesse durare nel tempo, gli AJR Fans. Per noi è ancora molto importante avere una community che sia realmente interessata a quello che facciamo. Ormai il pensiero comune sembra essere: come fa un artista a diventare virale e raggiungere al contempo il più vasto numero di persone possibili?». Adam conferma: «Ciò che nel presente acquisisce popolarità, purtroppo non è più connesso solo alle sette note. Oggi si è fan anche del video musicale o del contenuto ad hoc pensato per i fan. La musica ha perso parte della sua autenticità».