l termine che meglio identifica la genesi del terzo disco di Axos viene citato da lui stesso nel corso della nostra intervista: raptus. Un’esigenza improvvisa e incontrollata di esternare, di esprimere quanto accumulato in quelli che lui definisce essere stati anni «variopinti». Quest’apparente impulsività, però, è come conciliata con una ricercatezza di suoni e di flow e una maturità nella dialettica e nel messaggio che hanno pochi eguali nel panorama musicale contemporaneo, e che lo rendono un prodotto unico, completo e stratificato. Se il suo ultimo disco Anima Mundi era stato capace di dare una direzione originale e precisa a una nuova fase della sua carriera ed era stata, per chi ne avesse bisogno, una conferma del suo spessore artistico, Manie rappresenta indubbiamente una consacrazione del suo percorso.
Com’è stato quest’ultimo anno e mezzo che ha separato Anima Mundi da Manie?
Sono stati anni variopinti. Ho vissuto tantissimo ma in brevi momenti, come se dovessi recuperare tutto il tempo perduto. È stato un periodo di introspezione molto potente, in cui ho avuto delle esperienze extra-corporee che mi hanno davvero cambiato la vita. Non è un caso che poi, nel concreto, il disco lo abbia scritto in solamente un mese. È uscito da solo, come se fosse un proiettile.
Le manie sono un qualcosa che è imposto dalla società o un modo per difendersi dai dogmi che ci vengono imposti?
Il titolo è nato a disco praticamente finito, sia perché volevo un ulteriore collegamento con l’anima (“manie” è infatti l’anagramma di “anime” ndr.), sia perché volevo fare riferimento alla follia che ho attraversato, che mi ha portato a capire me stesso. Le mie manie mi aiutano a smontare tutte le sovrastrutture con cui convivo, sia quelle che mi sono imposto da solo che quelle che mi ha imposto la società. Se sono inconsapevoli, le manie possono diventare routine malsane, ma riuscirle a vivere in maniera consapevole ti dà delle carte in più perché ti aiuta a conoscerti. In questo caso, le manie possono aiutarti a uscire dai dogmi che ti vengono imposti. Nel mio caso, le manie mi hanno scritto il disco.
La copertina è una citazione al disco Binge di Machine Gun Kelly?
No, abbiamo semplicemente avuto la stessa idea. Quando l’abbiamo postata, qualcuno ha commentato facendo riferimento a questa cosa, e sono andato a vedere: è effettivamente identica. È incredibile come alcuni artisti abbiano lo stesso tocco su certe cose.
Il disco si apre con Paura di me. Avere paura di sé stessi è una cosa buona o cattiva?
La paura è positiva. Chiaramente, nel momento in cui ti blocca, diventa cattiva. Io ho sempre cercato di andare contro la paura e ritengo che l’amore sia un po’ l’opposto della paura. Poi, crescendo, ho cominciato a percepire la paura come un’avvisaglia positiva, ed ora ho trovato il giusto connubio tra amore e paura.
L’amore è un tema ricorrente.
Per quanto mi riguarda, l’amore non è un concetto spiegabile se non dicendo che è amore tutto ciò che ti fa star bene dal momento che fa star bene gli altri. Oltre non posso andare, e penso che sia un concetto che deve essere rivisto e dovrebbe essere spiegato meno.
Com’è stato collaborare con Ensi e Inoki?
Padri nasce dal fatto che io in loro rivedo due padri di questo genere. Di conseguenza, per me è stato un grandissimo onore ospitarli su una traccia. Inoki ha fatto una strofa davvero glaciale, Ensi non ne parliamo. Come loro, io voglio provare a essere padre di un sound, ma ancora non ritengo di esserlo ancora. So che sto creando un suono, ma ne sono ancora figlio.
Com’è stato collaborare invece con Emis Killa e Jake La Furia?
Quella collaborazione è nata a distanza, però ho realizzato il mio sogno di avere Jake su una traccia. È bello che la collaborazione sia nata dal rispetto reciproco, e per me è stata una consacrazione sapere che Emis e Jake, così come Ensi e Inoki, ovvero i padri di questo genere, amano quello che faccio. Sento di aver avuto una risposta dai grandi che finora mi mancava. Tanti mi avevano scritto in privato, ma dopo il periodo di Machete (2017 ndr.) nessuno aveva più osato.
In Thriller dici “Tutto ‘sto buonismo mi ha preso male”. L’ipocrisia e il buonismo sono due delle manie di questa società?
La gente non riesce più a parlare sinceramente, riesce soltanto a dire quello che si aspetta sia giusto per gli altri, ed è veramente terribile. Più che di buonismo, la società dovrebbe parlare di cultura e delle problematiche legate alla comprensione, che in Italia è davvero carente.
In Sotto zero invece dici di avere il “cuore sottozero”. Cosa vuol dire?
Significa essersi condizionati fino ad avere il controllo delle situazioni più assurde, e il controllo è tutto. Ovviamente applicarlo a ogni aspetto della propria vita mi renderebbe apatico, ma ritengo che sia una capacità che tutti dovremmo riuscire a ottenere per salvaguardare quei momenti in cui abbiamo bisogno di mantenere il sangue freddo.
Qual è la musica che ha accompagnato te crescendo?
Ce n’è davvero tanta. Se dovessi pensare agli artisti che mi hanno cambiato la vita ci sarebbero sicuramente i Joy Division, Amy Winehouse, gli Streets, Arctic Monkeys, Paolo Nutini.
Qual è stato il percorso di produzione con Jvli?
Jvli è un musicista e un produttore eccezionale. Secondo me quelli che usano solo il computer e poi non sanno le note non possono essere definiti produttori ma al massimo beatmaker, mentre Jvli è proprio complete. Riesce a passare dal raggaeton con Fred De Palma al pop con Cico Sanchez alla roba più ibrida con me con naturalezza. È un conoscitore di musica davvero incredibile.
In Molecole canti “Per la magia sacrifico molecole di noi” e menzioni i due personaggi di Kishna e Radha.
Il pezzo è dedicato a Radha, l’amata dal Dio Kishna, il quale però ama anche altre donne. È giusto però che lui, essendo un Dio, possa amare anche altre donne e che altre donne possano amare lui. Nella visione poliamorosa di questa storia, il sacrificare molecole per la magia significa sacrificare quella parte che ci rende unici gli uni per gli altri in nome di un concetto più grande; io sacrifico il non voler essere una coppia in favore del poter essere di più. Nell’ottica di anti-naturalità del concetto di monogamia, noi sacrifichiamo parti di noi stesso, come poi io ho fatto anche nella mia vita personale. Secondo me è una visione che oggi, in un momento storico in cui le persone si rendono conto di potersi innamorare di tanta gente, può arrivare a tanti. È vero che c’è ancora la cultura della Disney, ma vedo che i ragazzini iniziano a interrogarsi su questa cosa.