Da quando ha messo il primo piede nel mondo del rap sono cambiate un bel po’ di cose, ma Gian Marco (da questo momento Mondo Marcio) ci si muove ancora bene: «Ogni artista deve essere estremamente consapevole del fatto che le mode vanno e vengono». «Nel rap di oggi è cambiata l’attitudine, i nuovi artisti cantano solo per guadagnare e raggiungere la notorietà», mi dice. Non cita nomi e anche se i riferimenti sono chiari ci tiene a precisare che lui i nuovi rapper li apprezza: «Sono un loro fan, mi piace moltissimo ad esempio la Dark Polo Gang».
E in un panorama in cui l’ostentare è diventato l’elemento vincente per prendersi le classifiche, Mondo Marcio è tornato sulla piazza con un disco personale e intimo, pronto a cambiare nuovamente le carte in tavola. In Uomo (questo il titolo del disco) esplora con rime taglienti e beat killer le mille sfaccettature umane con uno sguardo sempre al suo passato (“Tra questi palazzi/Non me ne sono mai andato fra’/Via da questi palazzi/Già tutto è iniziato qua”, canta in Questi Palazzi).
Non ti eri mai preso una pausa così lunga dallo studio. Sbaglio?
Mi servivano delle esperienze di vita da raccontare. Sono stati tre anni di vita intensa ed era arrivato il momento giusto per raccontare tutto.
Trovo Uomo il tuo disco più intimo e profondo di sempre, quasi una seduta di autoanalisi in musica. Cosa si prova a raccontarsi senza filtri?
Sicuramente è il disco più personale che abbia mai scritto.
Quanto è stato complicato aprirsi?
Non è stato complicato aprirsi, piuttosto riascoltarsi è sempre più difficile.
Quando hai iniziato ad esplorare il tuo Io?
In realtà da sempre: la mia musica è frutto di una ricerca personale e profonda, ma forse in questo disco sono riuscito finalmente a farlo al cento per cento e a mettermi completamente a nudo.
Sei l’unico rapper ad aver collaborato con Mina, la voce numero uno d’Italia. Ti senti un po’ privilegiato?
Mi sento estremamente privilegiato. Quello con Mina è un rapporto che va avanti dal 2012, quando campionai Un bacio è troppo poco e da lì nacque nel 2014 un album, Nella bocca della tigre. Un intero disco realizzato utilizzando campioni dei suoi brani più e meno conosciuti. Da lì ci siamo sempre tenuti in contatto e quando ho scritto Angeli e demoni ho capito che era perfetta per lei così gliel’ho subito proposta e lei ha accettato.
Come l’hai convinta?
Mina non la convinci, una cosa o la vuole fare o non la fa e per fortuna ha subito accettato di cantare con me nel brano.
DDR (Dio del rap) ti diverti a provocare i nuovi rapper. C’è da ammettere che negli ultimi sedici anni la scena rap italiana è cambiata molto, come ci si sente a muoversi in questo panorama così mutato?
Ogni artista deve essere estremamente consapevole del fatto che le mode vanno e vengono, ma diciamo che nel rap di oggi è cambiata l’attitudine. Quando ho iniziato io, con i miei colleghi facevo i soldi per fare la musica, per realizzare i miei dischi e trovare una mia identità. Oggi gli artisti cantano solo per guadagnare e raggiungere la notorietà.
A proposito di DDR (Dio del rap), il verso “Già che chiami con la scarpa, chiama il telefono azzurro” è una frecciatina a Tony Effe della Dark Polo Gang?
No, mi piace la Dark Polo Gang, mi stanno simpatici. Il pezzo non è una frecciatina a Tony Effe, piuttosto una provocazione dedicata a chi vuole tutto e subito senza avere i fatti per farlo nella vita in generale.
Cosa ti infastidisce di più della nuova leva?
Non mi infastidisce nulla, anzi sono un fan. Credo che certi atteggiamenti siano frutto del contesto in cui i più giovani vivono oggi, sono un po’ in balia degli eventi diciamo.
Nella nuova scena musicale, che sia rap o pop, non esiste più la gavetta, il procedere step by step, cosa che invece tu conosci molto bene. Trovi sia rischioso per un artista ritrovarsi catapultato in poco tempo a fare concerti in palasport di fronte a diecimila spettatori?
Ovviamente è rischioso, ma non decide l’artista. Come dicevo prima, questi nuovi artisti crescono in un’era dove tutto è impacchettato e già pronto, dove lo streaming corre veloce e così anche la loro carriera: è normale che certi step si saltino perché ormai sono abituati a vedere le cose così. Pensano che tutto sia dovuto ma perché lo ritengono normale, non è colpa loro e questa è una sfortuna. Non hanno il tempo di farsi le ossa e questo taglia le gambe a tanti artisti che si bruciano troppo in fretta.
Ho comunque notato che gradualmente si stanno riscoprendo le sonorità old school che hanno caratterizzato il rap di inizio anni duemila. Credi si possa ritornare ad un rap senza autotune e con tematiche impegnate?
Credo solo che l’arte è ciclica quindi quello che non va più di moda ritornerà tra dieci anni e bisogna essere attenti ad accorgersene.