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Chiedi chi era Ennio Morricone e Giuseppe Tornatore ti risponderà

C’era una volta un trombettista di umili origini ma dal talento musicale sconfinato, un talento che gli permise di diventare uno dei più brillanti compositori alla corte del grande Maestro Goffredo Petrassi. Egli però avvertì ben presto quanto quella canonica non fosse la sua via maestra e cominciò a deviare da essa compiendo l’atroce affronto per quegli anni di prostituire la sua elevata musica alle umili esigenze narrative delle pellicole cinematografiche. Poi ci si accorge che l’ululato di un coyote, un motivo fischiettato, le note di un oboe o di un flauto di pan sono diventate un patrimonio dell’umanità per la loro capacità di smuovere, fondendosi magicamente con le immagini sullo schermo, moti profondi nell’animo del pubblico sparso per i quattro angoli del Globo. Tutto questo ha trasformato in una icona pop internazionale – nel più profondo significato di uomo del popolo – proprio quell’uomo schivo e silenzioso che mai aveva voluto inseguire il successo.

«È addirittura riuscito nell’impresa drammatizzare la mia figura», afferma con il sorriso Clint Eastwood in Ennio, e sarà proprio quest’ultimo a consegnare una notte di febbraio del 2007, con colpevole ritardo, dopo ben cinque candidature cadute nel vuoto non sempre per motivi chiari, quell’ambita statuetta che sempre gli era sfuggita e che forse cominciava a credere non sarebbe mai riuscito a stringere fra le mani. Un premio alla carriera «per i suoi magnifici e multiformi contributi nell’arte della musica per film» accompagnato da una travolgente standing ovation per un compositore che nella sua vita di pellicole ne ha musicate più di cinquecento, dei registi più grandi, da quelli dell’ex-compagno di scuola Sergio Leone passando per Dario Argento, Elio Petri, Pasolini, poi John Carpenter, Brian De Palma, Barry Levinson, Mike Nichols, Terrence Malick, Oliver Stone, Roman Polański ed infine Quentin Tarantino, quest’ultimo cresciuto a pane ed i “suoi” spaghetti western. È di questa sua incredibile parabola che si occupa il docufilm Ennio, un concerto più che un film della durata di oltre due ore che ripercorre non solo la vicenda professionale del compositore romano ma, data la mole della sua infinita carriera, la storia stessa del cinema, per un autore che solo nel 1969 è stato in grado di realizzare colonne sonore per 21 film diversi, un bottino che in molti casi sarebbe valso da solo una carriera.

Un film diretto con il cuore più che con la cinepresa da Giuseppe Tornatore. Per lui, solo un debuttante, Morricone accettò nel 1988 di comporre le musiche del celebre Nuovo Cinema Paradiso, solo il primo di una lunga collaborazione tra il grande maestro e il cineasta siciliano. C’è chi come Tarantino arriva a paragonare Morricone a Mozart, Beethoven o Schubert ma Iui era solito sviare e limitarsi ad affermare che «tra cento o duecento anni, quando vorranno capire com’eravamo, è proprio grazie alla musica da film, che lo scopriranno». Ed è questa in fondo la sua vittoria più bella e duratura, aver dimostrato quanto elevata fosse la sua occupazione e lo spessore umano, culturale e artistico delle sue composizioni, e poco importa che il bigotto mondo accademico sia giunto alla sua stessa conclusione solo dopo aver udito le struggenti note del Deborah’s Theme in C’era una volta in America. La musica in fondo ha il compito di rappresentare e suscitare emozioni e prima o dopo il cuore di chiunque è stato costretto a sciogliersi di fronte alle sue note.