25. Ana Mena, Duecentomila ore
Mi piace pensare Spadino di Suburra che la balla. Il peggior brano dell’edizione, di stacco. E non era facile.
24. Giusy Ferreri, Miele
Un plauso alla Ferreri per aver creato il meme della prima serata. Col megafono. Una sorta di richiamo del muezzin.
23. Tananai, Sesso occasionale
Fa male criticare un ragazzo che ha dato prova di grande autoironia. Soprattutto dopo le (indubbiamente inadeguate) performance live all’Ariston. Però ecco: il brano non è nulla di speciale. Tananai è un ragazzo dal gran gusto per la scelta del suono delle parole e dei layer. Forse Sanremo è stato il proverbiale passo più lungo della gamba, ma ciò non preclude un futuro splendente per l’artista. Se andasse male con la musica, il completo per fare l’imbianchino ce l’ha.
22. Yuman, Ora e qui
Un brano che se ti avvicini senti l’odore della naftalina. Nel complesso un discreto pezzo, con delle buone celle ritmiche sincopate. Purtroppo dopo dieci secondi si sa già come va a finire. Serviva un finale tarantiniano, forse, per salvarlo del tutto.
21. Highsnob e Hu, Abbi cura di te
Abbi cura di te è un brano moderno. Nel complesso godibile. Forse non molto sanremese. Se chiudiamo gli occhi nella prima strofa sembra di sentire Vasco Brondi, se invece ci tappiamo le orecchie parte “Resta qui, ancora un minuto/Se l’inverno è soltanto un’estate che non ti ha conosciuto”.
20. Aka 7even, Perfetta così
Senza infamia e senza lode. Un pop rock che a Sanremo non stona affatto, specie in una edizione fatta di molti brani mediocri e poche perle (che tuttavia, diciamolo, illuminano tutto, quasi accecano). Umilmente: il doppio taglio non è più così trendy.
19. Le Vibrazioni, Tantissimo
Un pop rock che nei cori iniziali ricorda i 30 Seconds to Mars di Jared Leto. Dopo questa bestemmia musicale, passiamo al ritornello: orecchiabilissimo, e nel pieno stile della band. Un pezzo adrenalinico che sembra quasi un trattato sul corretto utilizzo del basso elettrico. Non vi piace? Beh, almeno apprezzate l’ostinata resilienza di chi non demorde e si ripresenta sistematicamente al festival (quarta apparizione). Anche solo statisticamente, prima o poi andrà bene.
18. Matteo Romano, Virale
Un buon brano, una ottima performance, una produzione in cui gli 808 si contrappongono al pianoforte, dando scosse emotive notevoli. Manca il personaggio, diciamocelo. Essere artista a 360 gradi è fondamentale se si vuole vivere di questo. C’è tempo, comunque. Parliamo di in un classe 2002. Noi tutti alla sua età cercavamo di capire con i filtri Instagram quale verdura fossimo. E in realtà lo facciamo ancora.
17. Sangiovanni, Farfalle
Un pezzo catchy ma senza grandi sorprese. Produzione elettronica, quasi house, con accenni – sia per arrangiamento che per scelta dei suoni – di EDM. Forse a fare i moderni si finisce per scadere nel bieco. Soprattutto perché, come nelle automobili, meglio una vettura d’epoca che una vecchia, se proprio non si può avere il nuovo. Al baronetto dei bonus al FantaSanremo, comunque, perdoniamo tutto.
16. Emma, Ogni volta è così
Emma ha costruito un brano intimo che sembra ispirato, soprattutto nelle strofe, ai vari Franco126 e Bismark. Il ritornello è il tipico inciso alla Emma, che valorizza le sue doti canore. La produzione di Faini (Dardust) è un mix di tradizione e modernità. Personalmente preferisco la tradizione a questo tipo di modernità (la sezione ritmica in particolare) perché rende tutto più estetico e meno viscerale.
15. Ditonellapiaga e Rettore, Chimica
Paradossalmente più bella nella versione live. Il sound è leggermente plasticoso (pare quasi un brano ripescato da un disco di Molella). Nota di merito: dopo una parte estremamente monotona, ci regala sul finale una sezione molto eclettica
14. Iva Zanicchi, Voglio amarti
Ballata graffiante. Vulnerabile e violenta. Dolce ed amara. Sognante e malinconica. Un brano, insomma, fatto di contrasti. La versione in studio suona benissimo, pur essendo (ovviamente) molto vecchia scuola. Meglio così, comunque. Una donna vestita da millennial non l’avremmo voluta.
13. Dargen D’Amico, Dove si balla
Fedez, nell’intervista più chiacchierata dell’anno, l’ha definito un poeta. Anche per questo Dargen ha la sua chance. Un pezzo alla Lo Stato Sociale. Onestamente le aspettative erano alte e nel complesso non del tutto attese. Dicono che i brani pop abbiano vita breve, ma in questo caso ho bisogno di qualche altro ascolto: magari sabato siamo tutti a saltare sul divano con gli occhiali da sole e il telecomando in mano a simulare un microfono.
12. Fabrizio Moro, Sei tu
Un brano estremamente verboso, forse troppo. Ma Moro è una penna talmente profonda da giustificare tutto. Nel complesso un ottimo brano, che non sorprende né per arrangiamento che per produzione, ma che trasuda sentimento. Non colpisce a primo ascolto, ma è proprio il caso di dire: prima di dire, di giudicare, prova a pensare.
11. Gianni Morandi, Apri tutte le porte
Odio chi vuol sembrare a tutti i costi giovanile musicalmente. Gianni Morandi ha il pregio di non volerlo fare. Jovanotti, tuttavia, non costruisce un brano di spessore per lui. Tipico caso in cui un autore altisonante non basta. Un pezzo simpatico, nulla di più. C’è un passaggio in cui gli archi mi ricordano Il triangolo no di Renato Zero.
10. Noemi, Ti amo non lo so dire
Tutorial: prendete un ottimo brano alla Noemi (che se ne dica, ha sempre fatto ottimi pezzi), fatelo remixare ad un producer EDM, mettete il 2X di WhatsApp. Avete appena ascoltato Ti amo non lo so dire. Peccato perché sia in diretta che nell’ascolto successivo su Spotify la sensazione è che ci sia una struttura dal basamento solidissimo. Sono stati sbagliati i tendaggi, ed i colori delle pareti sono stati scelti pescando a caso dalla palette dei Pantoni. Attendiamo la slowed+reverb version di qualche fan su YouTube.
9. Michele Bravi, Inverno dei fiori
La versione in studio alza il valore del brano, che non mi era piaciuto molto durante la performance live. La produzione è di buon livello; con le ritmiche percussive quasi foley e delle intriganti distorsioni che si poggiano su un piano quasi ambient. Eccessivo utilizzo degli archi, ma Sanremo, aimè, ha degli stilemi nel proprio dna che non sembrano scalfibili. Neanche da un rigido inverno (dei fiori).
8. Rkomi, Insuperabile
Rock & roll alla nuova maniera, verrebbe da dire. Artista nel quale crediamo ma dal quale ci aspettavamo qualcosa in più, specie dopo un anno pazzesco in cui Mirko ha sbaragliato qualsiasi competitor. Detto questo: pezzo che ad un concerto di Rkomi potrebbe far pogare un popolo meno rigido di quello dell’Ariston. Anche a causa di un ritornello a cassa dritta in quattro quarti e di power chords ultra catchy. Ah: ricorda un po’ Personal Jesus dei Depeche Mode.
7. Giovanni Truppi, Tuo padre, mia madre, Lucia
Pezzone d’autore. Strofe eccessivamente parlate, sembra quesì uno speech. Ma la penna e soprattutto la linea melodica di Contessa (e alla Contessa) del ritornello, unita all’interpretazione di Truppi, rendono questo brano, magari non dal primo ascolto, una perla rara che sta più vicina al Premio Tenco che a Sanremo. Giovanni, perdonami se non sei nella mia squadra del FantaSanremo, erano finiti i Baudi.
6. Massimo Ranieri, Lettera al di là del mare
Brano molto bello; dal testo alla melodia quasi lirica del ritornello, tutto lascia pensare che sia l’unico over sessanta (quasi over settanta) fin qui ad aver onorato la vecchia grandiosa musica all’italiana. Ovviamente zero sperimentazione, zero salti nel vuoto. Ma ci sta.
5. Achille Lauro, Domenica
“È come i cani che si annusano, oh no/Oppure i gatti che girano al porto, ah sì sì/Rolls Royce/Voglio una vita così”. È una versione unplugged del brano con cui Lauro esordì a Sanremo. Un pezzo godibile, che porta in scena tutti gli elementi delle rock ballad strappa-cuore. Achille Lauro è un pacchetto: performance, (non) costumi, videoclip, dichiarazioni. Difficile parlare solo di musica. Prendere o lasciare.
4. Irama, Ovunque sarai
Un ottimo pezzo dedicato alla nonna scomparsa. Paraculo? Non credo, personalmente. Nella versione in studio si percepisce tutta la grandezza e l’epicità del sound, spiccatamente cinematografico. Notevole il taglio, dunque, che Irama ha dato a questa malinconica ballata notturna. Che un attimo prima è solitaria, quello dopo collettiva.
3. La Rappresentante di Lista, Ciao Ciao
In studio acquisisce un certo fascino che live non avevo percepito a pieno. C’è l’electro-funk dei Daft Punk. Un pizzico di sperimentazione quanto basta e un occhio strizzato al pop radiofonico, senza sfociare nel bieco.
2. Elisa, O forse sei tu
Compositivamente il brano più eclittico e geniale di questa edizione, assieme a Brividi. La prima coppia di accordi è già una promessa d’amore. C’è una grande perizia, un certo retrogusto di classica, che conferisce a O forse sei tu un non so che di sofisticato, alto, ricercato. Il ritornello esplode come una pioggia estiva, ed Elisa è quella delle grandi occasioni, felpata sopra gli appoggi di piano e abile architetto di linee melodiche. Un brano che fa sognare e che potrebbe rimanere nella storia (quantomeno contemporanea) del Festival di Sanremo.
1. Mahmood e Blanco, Brividi
La perfezione. Poco da aggiungere. Brividi è il pezzo più bello degli ultimi dieci anni di festival. La terza controcantata da Blanco sul ritornello, il testo, lo snare swingato nel fill della seconda strofa, il suono di pianoforte, il basso, le linee melodiche di Mahmood. Come chiamare Messi e Ronaldo a fare la partitella di calcetto del mercoledì sera. Sprecati.