Il rapper italiano più rispettato del Paese è improvvisamente tornato con Noi, loro, gli altri, un nuovo capitolo che, oltre ad essere con ogni probabilità il disco italiano dell’anno, potrebbe anche candidarsi a miglior lavoro dell’intera carriera di Marracash. Il 2021 è stato senz’altro un anno difficile e piuttosto scarno per l’hip hop made in Italy: basti pensare al fatto che l’unico scossone vero e proprio è stato dato soltanto dal solito Gué Pequeno – ultimamente ribattezzato in Gué – con il revival di una saga storica ed apprezzata quale è quella dei Fastlife Mixtapes, all’insegna del rap più spaccone e zarro della scuola di Milano. Un altro nome? Nayt, recentemente tornato con il suo nuovo Doom, album che alza considerevolmente l’asticella della qualità dei prodotti sfornati da artisti hip hop italiani, tanto è vero che nel suo ultimo lavoro, spesso e volentieri, l’artista romano ha preferito andare oltre il rap stesso pur non distaccandosi da quelle che sono le sue radici di riferimento.
In questo clima di innovazione e di graduale superamento della trap e del rap nelle classifiche – inaugurato da OBE di Mace e proseguito dai vari Blanco, Madame e Rkomi – arriva Marra, indiscusso ed indiscutibile caposaldo della cultura che, anche questa volta, riesce a sorprendere. Superlativo in ogni sua sfaccettatura, Noi, loro, gli altri non lascia vie di scampo: è un modo piuttosto diretto di analizzare noi stessi e chi ci circonda. Marra sfrutta se stesso, la sua vulnerabilità e le sue domande esistenziali per fare in modo che quelle stesse domande ricadano su di noi. Laddove Persona ci permetteva di entrare dentro Fabio per avere un preciso ritratto del suo essere – e talvolta per compartirlo – qui siamo noi tutti ad essere oggetto di analisi. Perché lasciatemi dire una cosa: questo disco è perfetto come se fosse stato programmato da un computer e, nonostante ciò, riesce ad essere ancora più intimo ed introspettivo del precedente. Questa è la vera magia che viene messa in atto, una magia che non vede solo l’influenza dell’ultimo Kanye West di Donda – per quanto concerne i featuring nascosti nella tracklist – ma anche l’influenza del Kendrick Lamar di To Pimp a Butterfly nella strutturazione del disco e 21 Savage e J. Cole nella copertina (ricordate il video ufficiale di A Lot?).
Loro, Pagliaccio, Cosplayer, Cliffhanger – ovvero i momenti più hardcore del disco – si mescolano senza difficoltà a picchi introspettivi quali Dubbi, Noi, Io o, ancora, a piacevoli momenti più orecchiabili come Crazy Love e Laurea ad Honorem, dove possiamo notare tutti i frutti di quel lavoro che negli ultimi anni Fabio ha correttamente svolto sulla sua voce. E poi i featuring che si comportano come da copione e le produzioni che non sono da meno: Marz e Zef, coppia ormai più che collaudata, cuciono il tappeto musicale perfetto – condito da campionamenti al limite dell’orgasmo musicale – per un Marracash in forma più che mai e per un Fabio che, a quanto pare, ha ancora tanta voglia di scavare dentro se stesso e dentro di noi. La mia domanda, a questo punto, è solo una: ammesso e non concesso che esista, quale può essere il reale limite di questa ricerca? Questa risposta può conoscerla solo Fabio. Ed è proprio in attesa di questa risposta che oggi più che mai ci rendiamo conto di quanto possiamo avere bisogno della sua musica. Perché alla fine anche quest’anno la conclusione è rimasta la stessa: in Italia ci sono bei dischi, poi c’è Marracash.