Quando sei figlio della medesima terra di Dalla e Carboni è un bel rischio decidere di fare il cantautore, quasi meglio l’astronauta. Ma Cesare Cremonini si è preso tutto, col tempo, un passo alla volta. Non è uno di quelli che brucia le tappe o che si vende – malgrado sia la colonna sonora di tutte le nostre estati Sammontana – non scende a compromessi e segue la sua strada senza badare agli altri piloti, perché la sua sfida è migliorare il proprio tempo sul giro ad ogni passaggio sul traguardo. Fanculo i compromessi e le corsie preferenziali, per Cesare la musica è una cosa seria e nel filotto di mega eventi negli stadi porta tutto il compendio della sua essenza. Ci sono anni di lotte contro i pregiudizi di una certa estetica musicale che per molti era ormai morta, c’è un approccio alla scrittura che oggigiorno quasi nessuno riesce a mettere dentro i propri lavori, c’è una ricerca di attenzioni, sì – perché Cremonini è un Freddy Mercury pieno di paillettes e scarpe eccentriche – ma c’è anche un’attenzione maniacale all’output che offre, ai pensieri che offre nelle interviste, ai messaggi che veicola e ad ogni minimo aspetto del suo spettacolo.
In un’era dove fa figo sembrare approssimativi e prendersi poco sul serio, Cesare mette in primo piano tutta la sua arte e non cerca alibi o atteggiamenti volti a distogliere l’attenzione da sé. Ci tiene durante lo show a riservare una grossa finestra sui musicisti ma, tolta questa parentesi, gli occhi e i riflettori sono tutti solo per lui. Uno showman d’altri tempi che ci fa dimenticare di essere ad un concerto di un artista italiano. Perché nei suoi (im)possibili scenari c’è tanto di internazionale. Una carrellata di visual ingegnosi e comunicativi che conducono lo spettatore in una storia coerente e surreale, dove si sente forte e chiaro lo storytelling che trasversalmente snocciola una ad una le ballate del latin lover emiliano. Eh no caro Cesare, la storia che non sei uno sciupa femmine non ce la beviamo. In tribuna stampa arriva una vampata di estrogeni e tanti cori in falsetto. Non che il Cesare nazionale sia ancora legato al suo passato nella boyband dei Lùnapop, ma è chiaro che 50 Special e Un giorno migliore (che chiude lo show romano) sono gli unici due brani in cui anche i più grandi anagraficamente hanno alzato i culi dai seggiolini blu. Malgrado ciò la scaletta riporta tutti i capolavori vecchi e nuovi del Cremonini solista e maturo: da La nuova stella di Broadway a Logico #1, da Greygoose a Marmellata #25, da Poetica a Nessuno vuole essere Robin, passando per Kashmir-Kashmir e Le sei e ventisei che segna lo spannung emotivo della notte romana.
C’è un set acustico chitarristico, un momento in cui c’è spazio per il piano e voce, la struggente Una come te accompagnata dalla tromba e un pizzico di elettronica su Lost in the Weekend e Mondo (probabilmente uno dei pezzi più riflessivi scritto nell’ultimo decennio in Italia malgrado sia diventato poi un pezzone radiofonico). Su Instagram dopo pochi minuti dalla fine del concerto Cremonini dà la buonanotte ai suoi fan e ringrazia dicendo: «Noi una cosa così gigante non l’abbiamo mai fatta», eppure (a noi) è sembrato tutto così naturale, rotondo, intimo e luminoso, in tutti i sensi. Superata dunque a pieni voti la prima e certamente non ultima avventura negli stadi dell’erede di Lucio Dalla. Martedì il ritorno a casa tra i mattoncini del suo dall’Ara.