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A Roma il credo grunge dei Pearl Jam

Quando si spengono le luci e i Pearl Jam salgono sul palco i cinquantamila dell’Olimpico tirano un sospiro di sollievo: Eddie Vedder sembra essersi lasciato alle spalle i problemi alla voce che l’hanno obbligato la scorsa settimana a rimandare la seconda data all’O2 Arena di Londra (lo show sarà recuperato il 17 luglio) e per dimostrarlo attacca il concerto con Release, subito seguita da Elderly Woman Behind the Counter in a Small Town. È la prima volta che i Pearl Jam entrano all’Olimpico (l’ultimo loro concerto nella Capitale risaliva al 1996: 12 novembre PalaEur), come è la prima volta che lo stadio romano apre le porte al grunge. «Quello al Palaeur è stato uno dei concerti più importanti della mia vita. Dopo ventidue anni è successo di nuovo, siamo a Roma», racconta Eddie prima di Interstellar Overdrive dei Pink Floyd, la prima di una lunga serie di cover. Il palco è semplice ed essenziale: niente effetti speciali e sovrastrutture, solo due schermi ai lati che proiettano le immagini del live rigorosamente in bianco e nero.

Dall’inizio alla fine dello show l’energia che Eddie sprigiona è esplosiva. In scaletta tutto il meglio del gruppo di Seattle (e nessuno dei presenti vuole altro): Do the EvolutionLightning Bolt, Immortality, Just Breathe, MFC, Porch e la nuova Can’t Deny Me ma anche qualche chicca più ricercata come Pilate, traccia numero sei di Yield. «Lo scorso anno a Firenze ho suonato questa canzone e ho chiesto ai presenti di accendere le luci dei telefonini. Sarebbe bello ripetere l’esperimento anche stasera. Siamo via da casa e quando torneremo il nostro Paese sarà cambiato», dice Eddie in un italiano americanizzato prima di eseguire live quella che sarà la canzone simbolo dell’intera nottata. Seduto sulle casse spia attacca una versione chitarra e voce di Imagine. L’Olimpico esplode in un boato e si accende di smartphone e accendini mentre sui maxischermi appare l’hashtag #apriteiporti e #saveisnotacrime, gli stessi lanciati da Roberto Saviano su Twitter nei giorni scorsi come risposta al Ministro Matteo Salvini.

Sul finale arrivano anche i classiconi, quelli che conoscono proprio tutti e che legano i cinquantamila in un unico (assordante) coro: prima è la volta di Black (“Oh and all I taught her was everything/Oh I know she gave me all that she wore”) poi di Alive, tratto da quel capolavoro chiamato Ten. Dopo tre ore e trentasei brani suonati, le luci dell’Olimpico si accendono a giorno, ma di scendere dal palco la band americana proprio non ne vuole sapere. E allora si lancia in una cover tiratissima (che durerà oltre dieci minuti) di Rockin’ in the Free World di Neil Young. Eddie, Stone GossardMike McCreadyJeff AmentMatt Cameron, gli ultimi eroi del grunge sopravvissuti a quell’epoca ormai lontana ma mai come oggi così attuale, hanno dimostrato ancora una volta di che pasta sono fatti e di come – dopo ventotto anni di carriera – si può essere (ancora) all’altezza delle aspettative di migliaia di fan. E allora keep on rockin’ in the free world ragazzi.