E venne il giorno. Il featuring più chiacchierato del momento è finalmente uscito. Sarebbe inutile fare presentazioni, visto che stiamo parlando della nuova versione di I Wanna Be Your Slave, brano di successo dei Måneskin, riproposto con Sua Maestà Iggy Pop. Sono tempi manichei, la gente sarebbe pronta a scannarsi su qualsiasi argomento, come, che so, la taglia di reggiseno di Elettra Lamborghini, quindi figuriamoci il putiferio che potrebbe scatenarsi quando la band italiana più discussa del momento collabora con il padrino del punk. E, col mio solito masochismo, decido di buttarmi nell’arena e parlarne, sperando di uscirne con poche ossa rotte (anche se ne dubito fortemente). Ne ho lette già parecchie: chi dà del venduto a Iggy, chi dà addosso ai Måneskin, chi dice che è tutta una questione di soldi, e chi invece parteggia per la band romana, decretando la buona riuscita della collaborazione (sono tempi manichei, ricordiamolo sempre). A prescindere dalle questioni di carattere commerciale/discografico – che, vale la pena ricordarlo, bisogna comunque tenere in considerazione per fare un discorso valido – i problemi di un’operazione simile, dal mio punto di vista, si possono ridurre tutti ad un solo fattore: la prevedibilità.
Procediamo per ordine, con calma. Non nego che, all’inizio, quando i Måneskin hanno pubblicato sui loro canali social un breve estratto della loro chiacchierata con Iggy, la mia curiosità si è destata. Mi chiedevo che tipo di collaborazione poteva essere. Un brano inedito? Una cover di qualche pezzo storico? E se invece non era da intendersi come una collaborazione strettamente musicale? Le possibilità erano parecchie, e tutte molto interessanti. Tutte, tranne una. Una scontatissima nuova versione di I Wanna Be Your Slave. A questo punto sembrava una tappa obbligata: è chiaro che il singolo del quartetto capitolino è un palese richiamo alla stoogesiana I Wanna Be Your Dog (sia nel titolo che nelle tematiche affrontate) e la presenza dell’Iguana in questo pezzo innesca una tautologia: Iggy omaggia i Måneskin che a loro volta omaggiano Iggy. Detto in soldoni, niente di più prevedibile. Il pezzo è lo stesso che troviamo in Teatro d’ira – Vol.I, solo che il compito della voce viene equamente diviso tra Damiano e Iggy. L’ex frontman degli Stooges ha classe da vendere e dall’alto dei suoi 74 anni comunque riesce a dare un’interpretazione valida del brano (purtroppo, a parte questo, non aggiunge nulla di suo). Pensateci bene, quello che fanno i Måneskin non è altro che vestire di pelle e borchie una pratica già molto diffusa nel rap, prendere un singolo e pomparlo con un super featuring. E anche dal punto di vista discografico, niente di più prevedibile.
Intendiamoci, non voglio imputare tutte le responsabilità ai Måneskin, che probabilmente in questa cosa hanno avuto un potere decisionale infinitesimale, il mio è un semplice giudizio complessivo. Se vuoi mettere le nuove leve del rock con la storia del rock allora bisogna fare qualcosa di rock, e lo si fa rompendo gli schemi, cercando di stupire, creare uno shock, non di certo proponendo qualcosa di già collaudato. Escludendo l’ipotesi di un brano inedito (troppo impegnativo per entrambe le parti), si potrebbe pensare ad una reinterpretazione di qualche brano storico (anche italiano, se supponiamo uno sforzo di Iggy), oppure ad un arrangiamento diverso per I Wanna Be Your Slave (se proprio non si può fare a meno di sceglierla), queste le trovo sicuramente due soluzioni più apprezzabili rispetto al risultato che hanno portato a casa i Måneskin. Finita la mia tirata da vecchio trombone amante del rock, posso comunque aggiungere un mio personale augurio ai Måneskin: un featuring con Iggy non è cosa da poco, e non riesco nemmeno ad immaginare la soddisfazione che si prova. Siate felici di questo grande traguardo e non curatevi del rumore che si crea intorno a voi per colpa di vecchi tromboni come me.