L’artista americano William Utermohlen dipinse una serie di autoritratti tra il 1995, anno nel quale gli venne diagnosticato l’alzheimer, e il 2000. Mettendoli a confronto con un suo autoritratto del 1967, possiamo notare una sostanziale quanto deprimente differenza: presentano un crescente decadimento dovuto alla malattia. Nell’ultimo quadro, quello del 2000, l’artista si rappresenta per mezzo di uno scarabocchio, privo di vita, sintomo lampante della perdita totale della propria identità. La sua è una delle più importanti, toccanti e autentiche testimonianze artistiche sull’alzheimer, principalmente per la soggettivazione del punto di vista. Allo stesso modo anche Florian Zeller ha cercato di raccontare il punto di vista di un malato di alzheimer con The Father – Nulla è come sembra, il suo esordio alla regia. Il film, tratto dalla pièce teatrale dello stesso Zeller, racconta il decadimento cognitivo di un padre di famiglia tramite una narrazione oscillante e discrepante, utile per entrare subito in empatia con Anthony, il personaggio interpretato da Hopkins. Nei primi minuti, Anthony viene travolto da una raffica di nuove e discordanti informazioni, riguardanti sua figlia, la badante e l’appartamento, che lo mandano in scompiglio. Questa sequela di scene porta sullo stesso piano lo spettatore con il protagonista: entrambi, ogni volta che si presenta una nuova scena, non capiscono cosa stia succedendo. Il film continua su questa falsariga, raccontando sempre il punto di vista di Anthony e mescolando l’ordine temporale degli eventi.
Ciò che funge da punto di riferimento spaziale e temporale sono alcuni oggetti ricorrenti, come il quadro dipinto dalla figlia Lucy e la cena a base di pollo.
A conferire maggiore empatia e vicinanza con Anthony c’è la scenografia: fedelmente alla pièce teatrale, il film si svolge del tutto in interna, prevalentemente tra le mura di casa. Gli ambienti familiari, che dovrebbero rappresentare un riparo, un luogo sereno, si fanno palcoscenico degli orrori e delle insicurezze di Anthony. Un altro oggetto frequente che si distingue per una cospicua carica simbolica è l’orologio da polso tanto amato da Anthony, del quale non può fare a meno ma che continuamente smarrisce. L’orologio è uno degli ultimi contatti con la realtà e con il tempo concessi ad Anthony. L’autentico sviluppo della trama e della condizione di Anthony differisce notevolmente dalla norma. In molti film sull’alzheimer del passato, come Still Alice (Richard Glatzer, 2014), la malattia viene mostrata per gli effetti che provoca e per le conseguenze di ciò che è accaduto, essenzialmente, adottando un punto di vista esterno. La sfida di The Father è quella di raccontare in tempo zero la condizione umana della persona affetta partendo dal suo punto di vista.
La sfida non si sarebbe concretizzata senza una prova attoriale degna di nota. Contando su pochi attori, il lavoro sui personaggi è stato minuzioso ed enorme. Le interpretazioni che spiccano di più all’occhio dello spettatore sono, inevitabilmente, quelle dei premi Oscar Olivia Colman ed Anthony Hopkins. La Colman è stata grandiosa nel trasmettere il dramma di una figlia costantemente in bilico tra la cura del proprio padre e la vita personale. Hopkins dimostra, ancora una volta, di essere un attore in grado di parlare con ogni parte del corpo: in questo film, lo sguardo è quella che comunica più di tutte. Di fronte alle dimenticanze, Anthony cerca di sviare l’apparenza tramite scuse e parole, ma i suoi occhi esprimono disagio, disorientamento e, soprattutto, paura: paura per la malattia, la vecchiaia, la morte e la perdita della propria identità. Come viene detto dallo stesso Anthony, la sua condizione equivale a un vecchio albero che, con il tempo e le stagioni, perde le proprie foglie e si priva del proprio spirito.