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“Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino”: come massacrare un bestseller

«Niente paura, non precipiteremo: io sono immortale», dice Christiane F. nella prima scena in versione giovane donna rock. E la storia fa un balzo a ritroso di dieci anni, spoilerando di fatto quale sarà la sorte della protagonista di Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino (la serie, da qualche giorno su Prime Video). Ci sono un po’ di premesse da fare, prima di analizzare questo prodotto. Alla base innanzitutto c’è la storia vera di Christiane Vera Felscherinow: a neanche vent’anni si era già disintossicata (per la prima volta) dall’eroina e, sulla base di un’intervista che rilasciò, fu pubblicato alla fine degli anni Settanta un libro che raccontava tutto quello che le era accaduto a causa della dipendenza da eroina. Il libro, diventato un bestseller, fece talmente scalpore che ne fu tratto un film, che fece ancora più scalpore. Occorre tener presente che quelli erano gli anni in cui il narcotraffico aveva inondato tutto il mondo di droga e, come ha ricordato la tanto discussa SanPa, i ragazzi che entravano facilmente in questo mondo di dipendenza erano tantissimi. Visto il contesto, il film ebbe un ruolo fondamentale nella presa di coscienza rispetto alla tossicodipendenza rappresentando in maniera cruda quanto si possa sprofondare e quanto si possa rischiare a causa della droga. Cosa ci dice invece la serie appena uscita su Prime Video? Prima di tutto che è consigliata ad un pubblico maggiore dei diciotto anni – e su questo potrei già fare delle considerazioni di opportunità nel fare un prodotto per un pubblico teen e poi sconsigliarne a loro la visione. E poi che le storie narrate sono liberamente tratte dai racconti di Christiane F., dove il “liberamente” è stato preso abbastanza alla lettera. Sullo sfondo Berlino Ovest della fine anni Settanta; ma non quella Berlino grigia e tetra che il film ci aveva mostrato, bensì un posto glamour in cui ci si diverte.

I destini di questi ragazzi si incrociano una sera al Sound, un locale dove la musica è tutto tranne che quella che ti immagini dovrebbe essere suonata in quel periodo. Il sodalizio di questi ragazzi, fra amicizie trasversali, amori non dichiarati e gelosie, si fa sempre più solido. Come nella migliore tradizione le famiglie giocano un ruolo fondamentale nelle scelte di questi adolescenti: genitori problematici ed irrisolti o troppo concentrati ancora sullo sviluppo della propria personalità difficilmente hanno il polso della situazione della vita reale dei figli. Incomprensioni, delusioni e pessimi esempi trascinano quindi nella dipendenza Christiane F. e la sua comitiva. In tutto questo la serie sembra più propendere per la voglia di sballo che per la denuncia sociale dello stato di abbandono dei giovani alla droga che invece impregnava la versione cinematografica il che, unito all’effetto glamour, di fatto snatura l’identità originaria della storia. Anche il racconto della parte legata alla prostituzione, che quasi tutti arrivano ad esercitare per guadagnare facilmente i soldi per comprarsi la dose, è raccontata in maniera molto superficiale e troppo pulita (nel senso stesso dell’aggettivo). Alla fine qualcuno di loro ce la farà e troverà la sua strada, come la protagonista per esempio, disintossicandosi e diplomandosi, qualcun altro no. In definitiva alla domanda se la serie merita, mi verrebbe da dire nì. Ovvero, se non sai nulla del pregresso forse (e dico forse) il fastidio di vedere affrontate con superficialità la maggior parte degli aspetti del racconto potrebbe anche non dare fastidio.