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4 cose che abbiamo imparato dal docufilm su Gué Pequeno

In occasione dell’uscita de Il ragazzo d’oro – 10 anni dopo, riedizione del primo disco solista di Gué Pequeno, Esse Magazine ha prodotto e pubblicato un documentario che riesce a far trasparire efficacemente la visionarietà e la longevità del primo capitolo solista di uno degli artisti più completi e controversi che la scena rap italiana abbia mai avuto. Avvalendosi della partecipazione di caposaldi del rap sia di vecchia generazione che della nuova scuola come Bassi Maestro, Shablo, i 2nd Roof, Ernia e Vincenzo da Via Anfossi oltre che dello stesso Gué il documentario riesce sia a esaltare le caratteristiche che hanno reso Il ragazzo d’oro uno di quei dischi che hanno rappresentato uno spartiacque per la storia del mercato musicale del genere e non solo, sia a fornire alcuni aneddoti interessanti relativi alla concezione del disco. Ecco le quattro cose che abbiamo imparato da Stile originale: Il ragazzo d’oro.

Ha saputo costruirsi un brand 

Prima dell’uscita de Il ragazzo d’oro Gué Pequeno era già una delle figure più importanti della scena rap italiana: insieme a Jake La Furia e Don Joe costituiva il fulcro del progetto Club Dogo, probabilmente il primo gruppo ad aver sdoganato la visione del rap come di un genere che apparteneva solo all’underground, portandolo in ambienti come la discoteca e la radio, in cui nessuno si aspettava sarebbe mai arrivato. Il ragazzo d’oro, quindi, non scaturì dall’esigenza di farsi conoscere o di emergere nella scena, ma dalla volontà di non passare alla storia semplicemente come membro di un gruppo, seppure storico e popolare, ma come uno capace di cimentarsi nell’ambiente musicale come fulcro unico di un progetto. Inoltre, come dichiara lo stesso Gué nelle battute iniziali del documentario, c’era l’esigenza di dimostrare di potersi costruire un brand che nel tempo si sarebbe dimostrato vincente. Dieci anni e sei dischi dopo, lo possiamo dire tranquillamente: scommessa vinta.

L’ascesa dei 2nd Roof 

Oggi riconosciuti universalmente come due tra i produttori più capaci della scena, ma all’epoca dell’uscita del disco i 2nd Roof erano alquanto sconosciuti e, per loro stessa ammissione, non ancora capaci di confrontarsi con certe produzioni. Gué, nel documentario, ci tiene a sottolineare come la sua fiducia in questi due produttori non fosse scaturita da una volontà di rischiare o da un voler dare spazio a novità o a giovani, ma come sia accaduto in maniera molto naturale che i due avessero improvvisamente alzato il livello delle loro produzioni, rendendo il processo di collaborazione una naturale conseguenza. Visti i tanti capolavori che i due hanno prodotto dopo ultimo Mr. Fini – possiamo dire che è stata un’intuizione vincente. 

Caneda e il nonsense 

Dei tanti classici contenuti in Il ragazzo d’oro, l’omonimo singolo in collaborazione con Caneda è sicuramente uno dei più memorabili. Durante il documentario, i 2nd Roof raccontano il processo di registrazione del pezzo avvenuto in un sottotetto dove i due avevano improvvisato uno studio e in cui erano presenti otto persone in un totale di otto metri quadri. In particolare, viene ricordata la reazione scioccata di tutti alla registrazione della strofa di Caneda, con la struttura nonsense costruita sulla parola “bianco” e con il suo impatto snervante eppure geniale, che infatti non venne recepito subito dal pubblico. Nel tempo, però, sia la canzone che la singola strofa vennero rivalutati fino a diventare un classico del rap italiano.

I trapper di oggi sono tutti suoi figli

A pronunciare queste parole, nelle battute conclusive del documentario, è Ernia, ovvero uno degli esponenti più importanti della nuova scuola. Uno che l’ascesa della trap l’ha vissuta in prima persona e in alcuni episodi della prima parte della sua carriera ne è anche stato esponente. Si tratta sicuramente di un attestato di stima, ma non è così banale come può sembrare. Il ragazzo d’oro, pur non essendo un disco trap, ha sicuramente iniziato ad anticipare quello che pochi anni dopo sarebbe diventata la prassi, un po’ per le tematiche affrontate, un po’ per l’attitudine con cui le affronta. È indubbio che, se non ci fossero stati Gué e Il ragazzo d’oro, molti degli artisti che oggi sono di spicco non sarebbero cresciuti nello stesso modo.