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Gli album dai sound più futuristici dell’ultimo mezzo secolo

Sound alla moda, sound fuori moda. Il trend, a parer mio, è un connotato che non riguarda l’arte destinata a restare negli anni. Ecco perché in questo elenco non troverete nulla di “fresco” come si dice oggi. Troverete invece un viaggio dentro le epoche musicali (ogni disco selezionato è stato scritto in un decennio diverso), senza avere la presunzione di dire che ciò che verrà citato sia in senso assoluto meglio di tanti altri rimasti fuori, molti dei quali comunque sotto la voce “Potrebbe piacerti anche”. Non è una classifica, ma un elenco di racconti musicali che hanno anticipato e successivamente sublimato, interiorizzato, in ultima istanza superato, il concetto di tempo. In vettura, last call for you.

Brian Eno, Ambient 1/Music for Airports (1978)

Il disco ambient per eccellenza. Un racconto intimo e delicato che costruisce una bolla nel tempo e nello spazio. Siamo in un aeroporto, le persone passano, le vite si toccano, anche solo per un momento. I pianoforti allietano l’attesa dei passeggeri al check in. Poi il silenzio, che mai come in questo album fa rumore. Ed è percettibile, rilevante tanto quanto i suoni che arrivano da lontano e che improvvisamente tornano nella nebbia di questo sound, illuminato e inedito, allora come oggi. Un disco seminale per la storia della musica, non solo di genere.

Brano più iconico: 1/1
Punto più alto: 1/1
Potrebbe piacerti anche: Alva Noto, Ryuichi Sakamoto (Insen), Jon Hopkins, Leo Abrahams (Small Craft On A Milk Sea), Shlohmo (The End)

The Cure, Disintegration (1989)

Probabilmente disco più importante della band e dell’intero decennio (Disintegration è negli Ottanta per appena qualche mese). Solo The Joshua Tree è in grado di competere con questo concept album che, oltre a contenere alcuni tra i classici della band di Smith, è un trattato di sound design e il vero testamento artistico del rock anni Ottanta. Un viaggio che passa attraverso la pioggia, il gotico, l’oscurità, poi la luce. Un percorso dantesco attraverso la perdizione e la catarsi. Un lungometraggio di Burton messo in musica e parole. Se Lovesong non fosse nel disco avremmo solo brani entro la forbice che va dai quattro ai nove minuti. Questo a testimonianza del fatto che sì, anche nell’epoca dei Levi’s e di The Wild Boys era possibile fare la differenza senza curarsi troppo delle logiche discografiche.

Brano più iconico: Pictures of You
Punto più alto: Plainsong
Potrebbe piacerti anche: U2 (The Joshua Tree), The Joy Division (Unknown Pleasures), The Smiths (The Queen is Dead)

Radiohead, OK Computer (1997)

Come per il decennio precedente, gli U2 perdono il ballottaggio per un battito di ciglia. Achtung Baby inciso negli Hansa Studios porta il sound ad una dimensione nuova. Sei anni dopo però esce il disco più soffice e violento della band di Yorke: Ok Computer. Un cielo grigio sotto il quale coesistono elettronica, rock e classica. Un album senza etichette che finirà per essere bussola e termometro della musica di qualità. L’estasi sonora in grado di divenire mainstream. Per palati raffinati, insomma, ma anche per il popolo delle radio.

Brano più iconico: Karma Police
Punto più alto: Exit Music (For a Film)
Potrebbe piacerti anche: Pixies (Surfer Rosa), MGMT (Oracular Spectacular), Muse (Origin of Symmetry)

Arcade Fire, Funeral (2004)

Una marcia funebre. Un grido che vuole violentare le orecchie. Poi il miele delle chitarre. Un basso caldo che percuote gli animi. Questo disco ha dato un senso a tanta musica che per anni ha cercato una strada: quella strada si chiamava (e si chiamerà per sempre) Arcade Fire. Una raccolta sognante che ci porta in molti posti diversi anche all’interno dello stesso brano. Una poetica che riuscirebbe a coniugare Charles Manson e Gesù Cristo, Mozart e Jack White, David Lynch e Wes Anderson. Il sound predominante è folk e le voci femminili, che accompagnano la band, ci conducono all’interno di canti popolari mistici e pagani.

Brano più iconico: Wake Up
Punto più alto: Rebellion (Lies)
Potrebbe piacerti anche: Massive Attack (Black Lines), Röyksopp (Melody A.M.), Telekinesis (12 Desperate Straight Lines)

M83, Hurry up, We’re Dreaming (2011)

L’estetica anni Ottanta, la synth wave e dunque la veste di questo album sono tutto ciò che in un certo senso sbugiarda le mie parole dell’introduzione. Eppure questo capolavoro assoluto di matrice francese è qualcosa di più di un semplice album dreamy. Sempre sobrio ed essenziale nella sua estrema pienezza, ricco di influenze ambient (Jon Hopkins), disco dance (c’è la parte più intellettuale e ricercata dei Daft Punk), rock (Tame Impala) e alternative (le vocals ricordano il mondo degli Alt-J). Un album che eccelle sotto ogni punto di vista. Una linea tangente che parte dalla cameretta e svetta nell’esosfera.

Brano più iconico: Midnight City
Punto più alto: Outro
Potrebbe piacerti anche: Sigur Rós (Inni), The XX (XX), Chromatics (Cherry)