Cercare di raccogliere così tanta musica, peraltro di livello, in una classifica è complicato e autolesionista. Mentre scrivo dal mio Mac, il correttore anticipa titoli e frasi cult di Antonello Venditti perché nel frattempo sono diventate stereotipo e paradigma del linguaggio comune nazionale. Venditti è come la pizza napoletana, il Colosseo, la Mole Antonelliana: non puoi non riconoscergli che, oltre a fotografare come nessun altro la città più bella del mondo, sia un graffito indelebile sui muri della penisola. In vista del concerto del cantautore capitolino del 18 e 20 agosto all’Oversound Music Festival, ecco un tentativo fallimentare di elencare il suo must have.
Notte prima degli esami
Se pensi alla maturità, il Fa-La-Do che introduce a questo brano iconico è la prima immagine sonora che le sinapsi sono in grado di costruire. È come se Venditti avesse registrato alla Camera di Commercio e all’ufficio brevetti la formula “esame di maturità” e tutto ciò che ne consegue. Nessuno, nè prima nè dopo, è riuscito a ricamare nel tessuto sociale in modo così profondo un concetto tanto comune e condiviso. Questo unico brano basterebbe per raccontare tutto il valore intrinseco nel viaggio musicale di Antonello Venditti.
Roma capoccia
Troppo spesso tra i critici musicali sento abusare della frase “questa è una poesia messa in musica”. Roma Capoccia, invece, è esattamente questo; una lirica, un poemetto, uno stornello, una figura ad acquerello. È come se ascoltandola fossi in grado in un attimo di conoscere il caso universale come somma di infiniti ed inifinitesimi casi specifici.
Sora Rosa
Il primo brano di Venditti. Sembra scritto da un settantenne, da un ottantenne. C’è il cinismo di un uomo maturo e la gioia agrodolce di un ragazzo che sogna, ma solo attraverso le feritoie di un sotterraneo. Il suo modo di suonare il pianoforte, a detta sua, è unico proprio perché non pulito o accademico. Se potessimo passare la mano sulla superficie di Sora Rosa si sentirebbero tutte le imperfezioni, le irregolarità. Ed è esattamente questo a renderlo un brano forte e vero, puro e violento.
Ricordati di me
Un inno al tempo che passa. È continuo il richiamo al ricordo, alla malinconia ma anche alla speranza di prendere la vita in mano anche quando si sente di non averne la forza. Su un video non ufficiale del brano su YouTube leggo tra i commenti, mentre la riascolto: “La canzone preferita di mia figlia, volata in cielo a soli 34 anni” e “Sono le parole di mia moglie prima di andare in cielo”. È impossibile non riconoscere a questo brano un velo mistico di leggenda e universalità.
Ci vorrebbe un amico
Per abbandonare una cocente delusione amorosa ci vorrebbe un amico. Una indagine profonda e perforante che conduce Venditti attraverso i meandri inesplorati della sua mente. La grandezza di questo brano sta nella semplicità, guai a dire banalità, dell’argomento. Perché non sono certo soltanto i brani intellettuali a fare breccia sull’animo umano, tutt’altro. Un guaio in cui tutti prima o poi incappiamo, inciso magistralmente e visceralmente in un vinile che ha fatto storia, Cuore.
Bomba o non bomba
Venditti è anzitutto un personaggio politico. A prescindere dai partiti, dalle ideologie o dalle polarizzazioni di sorta, anche in un brano d’amore c’è una chiave politica, nel senso più ampio del termine. Bomba o non bomba è uno dei più densi, se non il più denso in assoluto di messaggi di questo tipo. Il brano racconta di un cammino con Francesco De Gregori integralmente frutto dell’immaginazione di Venditti. Parte da Bologna e passa per diversi checkpoint: da Sasso Marconi a Roncobilaccio, da Firenze ad Orvieto, fino all’approdo nella capitale.
Giulio Cesare
Il Liceo Giulio Cesare è il posto. Il contesto. Lo spazio. In questo brano c’è però un racconto forte della società di allora. È come riaprire ogni volta le pagine di un quotidiano qualsiasi: Era l’anno dei Mondiali, quelli del ’66. La regina d’Inghilterra era Pelè. La giovane Italia cantava, “Eia, eia alalà”. Era l’anno dei Mondiali quelli dell’86. Paolo Rossi era un ragazzo come noi (rileggere oggi questo tributo a Pablito mette i brividi).
Lilly
È il Settantacinque. L’eroina è una dolce condanna che cammina indisturbata per le strade dei sobborghi d’Europa e nelle vene di giovani disillusi dal contesto in cui vivono. Venditti racconta di Patrizia (Lilly), vittima della tossicodipendenza. Un brano addolorato e fragile, che spesso, anzi quasi sempre, non riesce a cantare senza emozionarsi. Una incessante preghiera pagana urlata contro il più crudele dei destini. Una catarsi collettiva che ci aiuta a curare le ferite dell’esistenza.
Piero e Cinzia
Non credo sia necessario raccontare di questo brano. Un classico intramontabile che ad inizio 2021 ha aggiunto un nuovo capito alla sua storia, questa sì, totalmente inedita. Venditti, romanista verace, pubblica su Instagram una foto di lui e Francesco De Gregori sugli spalti dell’Olimpico. In didascalia scrive: “Ragazzi che foto. Io e De Gregori allo Stadio Olimpico aspettando la Roma. Ora, Roma aspetta noi. Auguri ragazze e ragazzi che il 2021 ci sia propizio”. Fin qui nulla di particolare, se non la condivisione di un bel ricordo. Tra i commenti però accade la magia: un certo Piero Stabile scrive: “Antonello, la canzone che hai fatto per me sempre mi emoziona molto, sono ricordi bellissimi, ritornando a Roma dal concerto del grande Bob Marley. Saab turbo nera e come andava era una bestia, arrivati ai Parioli ci siamo lasciati”. Venditti ritrova dunque uno dei due protagonisti della sua musica. Il brano parlava infatti dell’incontro tra Venditti e Piero che, rimasto solo per un litigio con la fidanzata Cinzia durante il concerto milanese di Bob Marley (1981), aveva chiesto ad Antonello un passaggio per il ritorno a Roma. Da quei racconti, sbobinati dalla mente del cantautore, nasce il brano di Cuore, pubblicato nel 1984.
Sotto il segno dei pesci
Venditti è nato nel pieno segno zodiacale dei pesci, nello specifico oggi, 8 marzo, il giorno che (non me ne vogliano femministi e femministe) è riconosciuto come festa della donna. Questo brano è la narrazione nitida, quasi psicoterapica, di un ragazzo nel pieno della sua libertà e delle sue fragilità. Si passa dal maschile al femminile, si parla di lei e di lui, di Marina (che “se n’è andata, oggi insegna in una scuola, vive male e insoddisfatta, e capisce perché è sola”) e Giovanni (che “è un ingegnere che lavora in una radio, ha bruciato la sua laurea, vive solo di parole”) della voglia di dare un senso a tutto ma anche dei diciotto anni che “son pochi, per promettersi il futuro”. Punti di vista ora femminili, ora maschili. Un brano transgender potremmo dire, oltre che transgenerazionale.