Anche se in certi casi potrebbe sembrare che non sia così, a Sanremo non si arriva per caso. Il viatico migliore per arrivarci, e magari avere successo, è far precedere alla fase sanremese alcune tappe di avvicinamento. Così hanno fatto Colapesce e Dimartino. Anni di lavoro ognuno per la sua strada, accrescendo il proprio personale successo e la stima del pubblico non esattamente mainstream. Poi l’anno scorso decidono di pubblicare un disco, I mortali, insieme e di tentare il Teatro Ariston. A oggi è loro il brano sanremese più passato dalle radio.
Insomma, siete stati sin dall’inizio i favori dai pronostici (oggi sono quarti, dopo Ermal Meta, Willie Peyote e Annalisa ndr.).
Dimartino: Devo dire la verità, un po’ ce la sentivamo tirare. Abbiamo fatto fare lo sfascino ad una megera di Cosenza e ci siamo anche toccati diverse volte (ride ndr.).
Colapesce: Io ho anche messo 10 euro su Ermal Meta quando ho sentito quei pronostici, sai per scaramanzia (ride ndr.).
Dimartino: Parlando seriamente, ai bookmakers io non ho mai creduto, anche quando fanno i pronostici politici non ci prendono mai.
Tra l’altro ho letto da qualche parte che Musica leggerissima sta spopolando su TikTok, lo sapevate?
Dimartino: Io sono abbastanza boomer, quindi non ho TikTok, però me lo stava dicendo giusto ieri mia nipote. Comunque a noi interessa che passi più il messaggio della canzone piuttosto che il balletto. In Musica leggerissima trattiamo un tema che, dopo questo anno, tocca molte persone: il disagio psicologico. Abbiamo deciso di darle questa veste catchy, radiofonica, per stemperare il messaggio. D’altronde il pop è questo: deve arrivare a tante persone portando dei messaggi che, in altro modo, è difficile fare arrivare.
A proposito di coreografie e balletti, molti hanno paragonato Paola Fraschini che sale con voi sul palco alla “vecchia che balla” de Lo Stato Sociale.
Dimartino: Sono elementi completamente diversi. A noi Paola, che è stata sette volte campionessa del mondo di pattinaggio, sembrava perfetta per dare quel senso di leggerezza al brano. È un elemento aggiuntivo per noi, non solo coreografico.
Quando avete iniziato a suonare, vi sareste mai immaginati di arrivare a Sanremo?
Colapesce: Io assolutamente no. Suonavo in una band che faceva musica strumentale ed ero lontano anni luce dall’idea di partecipare al Festival. Pensa che io canto praticamente per sbaglio; la mia prima band aveva come cantante una ragazza bravissima che ha mollato la band per fare la mamma e gli altri componenti della band a quel punto mi hanno detto: «Ok, adesso canti tu». Altro discorso per Antonio (Dimartino ndr.) che era già venuto al Festival come autore.
Qual è per voi l’aspetto più complicato da gestire di questo Festival?
Colapesce: Senza alcun dubbio il sottostare a tutte quelle regole legate alla pandemia. Stare nella bolla – come viene chiamata. Come saprai, se nell’interno del tuo staff c’è un positivo sei di fatto penalizzato. Gestire tutte le persone che ci stanno intorno facendo in modo che nessuno venga in contatto con altri è complicatissimo. Ecco, il cercare di stare attenti non ci fa vivere Sanremo appieno; passiamo il tempo fra la 111 e la 112, le nostre camere in albergo.
Pensate che i concerti in streaming possano essere un mezzo per mantenere alta l’attenzione sui progetti musicali in uscita?
Colapesce: Noi ci siamo formati nei locali. La scena underground, parte della quale quest’anno è a Sanremo, viene tutta da lì, dai club. L’anno scorso abbiamo avuto la fortuna di fare un tour di dodici date ed abbiamo constatato con mano che i concerti si potevano fare in sicurezza. Per risponderti alla domanda, non credo molto nei concerti in streaming perché è un altro tipo di esperienza; non ha niente a che vedere con il calore umano e la condivisione che di crea all’interno dei locali – dove non si ascolta semplicemente musica, ma si condividono delle vere esperienze.