Quando i documentari sulle star mostrano la loro parte umana, fallibile e fragile ne rimaniamo sempre estremamente colpiti. Per Billie Eilish questo non accade. Non perché la sua parte umana non sia profondamente interessante o perché non sia estremamente curioso spostare la tendina e guardare un po’ dentro l’anima della giovanissima rivelazione della musica contemporanea, tutt’altro. Non lo è perché quando The World’s A Little Blurry inizia e le primissime note di un brano di Billie toccano i nostri timpani, capiamo quanto la sua umanità sia tutta già lì, dentro il nostro dispositivo di ascolto. Potremmo perfino chiudere gli occhi e lasciare che la musica parli. Ciò nonostante, questo docufilm è capace di indagare su quella ragazza fragile che, suo malgrado, si ritrova a vivere il sogno. Se per un attimo usciamo dalla magia dello schermo, e immaginiamo le telecamere che riprendono la storia della musica prima ancora che nascesse, diventa chiaro che forse quel “suo malgrado” di qualche riga fa, non sia esattamente applicabile al mastodontico golem che si muove dietro questa fragile neo patentata. È come se tutti sapessero, è come se ognuno in qualche modo stesse raccogliendo una piccola parte della storia, così che non serva rielaborare leggende metropolitane per raccontarla.
Billie nel suo percorso entra in contatto con gran parte dei suoi idoli: ad un certo punto le si avvicina Katy Perry col suo fidanzato, che le dice di essere un suo grande fan. La ragazza dai capelli bizzarri è come tarantolata dalla sua beniamina, che ora è un’amica, oltre che una collega. Talmente fuori di sé che non si rende conto che quel fidanzato che tanto ama Bad Guy è Orlando Bloom. Quel che colpisce in modo particolare è lo stato psico fisico della Eilish; ha seri problemi a reggere l’urto di quella fama che la sta travolgendo. E come biasimarla. Ha addosso una stanchezza dopo gli show che la costringono a mettere il ghiaccio sulle caviglie o a costringerla a riposo forzato («Basta concerti. Mi fanno male le gambe. Non ce la faccio. Non posso saltare», afferma nei camerini al termine del concerto milanese). Perché quando Billie Eilish non dovrebbe tirare la corda sul palco, beh lei lo fa lo stesso («Saltare mi fa molto male, ma sono un’idiota, perciò salterò», dice dal palco). Ha anche dei tic causati dalla Tourette che fanno preoccupare perfino noi dietro lo schermo di Apple TV, figuriamoci la madre e lo staff.
E poi c’è Finneas; il fratello, l’amico, il producer, il confidente, il musicista che sale sul palco con lei. Il vero alter ego della popstar. Un buon 40% del successo del progetto («Sono milioni?», dice Eilish al fratello mentre controlla gli streams di When We All Fall Asleep, Where Do We Go?. «Oh mio dio»). Durante documentario questo è più che mai evidente. Tra una partita a Uno, un giro sul monopattino, un’intervista e un concerto sold out, la leggenda nasce sotto gli occhi del pubblico della piattaforma di Cupertino. Diretto dal premiato regista R.J. Cutler, The World’s A Little Blurry è un prodotto prezioso prima ancora che incredibile, utile prima ancora che estasiante. Guardarlo significa capire perché i talentuosi sono l’1% e quelli che lasciano un segno sono l’1% di quell’1%. Vien quasi un po’ di tachicardia a vedere quanto è dura la vita da star globale, quanta parte di vita da teenager viene bruciata sull’asfalto delle strade che portano al prossimo palco e quanto facile sarebbe mollare. Certo, se il tuo nome non è Billie Eilish.