“Faccio interviste e parlo un’ora. Voglio premio artista più loquace di sempre” è il tweet di Bugo dopo la nostra telefonata. Guardo il post divertito, prima che mi chiami il mio editore. A mia discolpa posso dire che non è sempre così però. Ci sono interviste che durano dieci minuti, perché dopo cinque hai già un’idea chiara di chi hai davanti. Ci sono interviste, invece, che hanno bisogno di essere approfondite come una lunga chiacchierata dall’analista. Fabrizio Caramagna, uno che ha passato la vita a raccogliere aforismi, dice che il tempo non va misurato in ore e minuti, ma in trasformazioni. Davanti a me, per una lunga e loquace ora di chiacchierate, ho visto Bugo trasformarsi decine di volte, e incredibilmente essere sempre uguale a sé: un alieno, un pioniere, un incompreso, un marito, un padre e uno dal cazziatone facile. Ad un anno esatto da quella serata in cui ha abbandonato il palco di Sanremo, ho ritratto l’artista nella sua complessità, per restituirgli l’immagine che gli è stata rubata troppe volte: quella di cantautore oltre la polemica, quella di uomo oltre la fuga, quella di Cristian oltre Bugo.
Immagino tu sia stanco di parlare solo dell’esperienza surreale avvenuta a Sanremo, ma è anche vero che è stata una tappa, direi, fondamentale per la tua carriera. Com’è cambiato Bugo dopo quella sera?
A dirti la verità non sono cambiato, ho solo dovuto imparare a difendermi un po’ di più. L’ambiente musicale che già mi conosceva ha continuato a rispettarmi. Io ho 48 anni e posso dire che non si smette mai di imparare a difendersi. Attaccare è facile, difendere e difendersi è molto più difficile. Credo di essere diventato solo una persona più concreta, più forte.
Sei salito sul palco dell’Ariston dopo vent’anni di gavetta e vari tentativi tra cui uno con Irene Grandi. Sei stato l’anno scorso un “esordiente-non-esordiente”.
Anche Piero Pelù era al suo primo Sanremo dopo più di trent’anni di attività.
Quest’anno però sarà la seconda volta.
Sarò sempre la stessa cosa: un esordiente non esordiente. Una delle cose che mi danno più fastidio è vedere quelle persone che si sentono arrivate. La gente che ha trent’anni, pochi dischi, e sperpera giudizi su tutti. I giudizi sugli altri sono pericolosi da dare. Io tornerò col mio solito spirito, quello di un artista in eterna gavetta. Magari un giorno farò uno stadio, ma anche quando sarò lì, la testa dovrà essere quella di uno che vuole scoprire qualcosa.
Insomma, hai contattato Amadeus, gli è piaciuto il pezzo e ti hanno comunicato che saresti ritornato sul palco dell’Ariston?
In realtà mi ha contattato lui, ma questo non cambia nulla. Lui quando ha delle preferenze, delle idee, chiama personalmente gli artisti. Mi ha chiesto se avevo un pezzo, io gli ho risposto che sarei tornato volentieri. Ma lui non lo dava mica per scontato. E invece gli ho detto: «Ti porto io un pezzo che spacca», e così è stato.
Cosa mi puoi raccontare del pezzo (Invece sì ndr.)?
Non penso sia proprio sanremese anche se è un brano sicuramente più classico rispetto a Sincero. A questo giro ho voluto mostrare una sfaccettatura diversa: è una canzone più lenta con un grande uso dell’orchestra. Raccoglie molto della mia filosofia di vita, è un brano universale per questo credo possa piacere al pubblico. Voglio dire, anche il titolo dice tanto.
Tornando indietro nel tempo, un vecchio articolo dei primi anni duemila ti definiva “genio e regolatezza”. È ancora così?
Qua sono tutti geni ma a me non piace definirmi così. Anzi, secondo me i geni alla fine sono tutti coglioni. Però ricordo bene quel titolo perché per la prima volta qualcuno ha capito la mia regolatezza. Per costruire una carriera così lunga, senza mai perdere un colpo, ci vuole metodo e costanza.
Di sregolatezza e irrazionalità, invece, si parla nel tuo ultimo singolo, Quando impazzirò. Per cosa impazzisce oggi Bugo?
Io sono uno molto regolato, ma so che la vita è un equilibrio sopra la follia, citando Vasco. Anche io ho dei momenti di sclero. Se sei solo regolato come persona, allora meglio che non fai l’artista. Sai per cosa non impazzisco invece? La violenza, l’arroganza, il sopruso, la mancanza di rispetto. Senza entrare troppo nel merito, capiscimi.
Nella tua esperienza lavorativa, vanti anche una carriera in fabbrica. Intervistando qualche mese fa Pino Scotto, è venuto fuori che lui, come te, ha passato ben 35 anni in fabbrica. Dice che ai giovani d’oggi manca rimboccarsi le maniche. Sei d’accordo con lui?
Mi trovo distante anni luce da quel personaggio che hai nominato, è uno che secondo me parla troppo.
È conosciuto proprio per questo in realtà.
Sì, ma a parte questa cosa qui, secondo me non è necessario lavorare 35 anni in fabbrica per essere un grande artista. È una retorica tipica dei personaggi come lui. Cioè, John Lennon non ha mai lavorato in fabbrica ma è il più grande cantautore di tutti i tempi. Il carattere non dipende da quanti anni lavori in fabbrica, se sei un coglione, e vai a lavorare, rimani coglione.
A lavoro ci sei andato però.
Io ho lavorato perché dovevo farlo. Mio padre mi ha detto: «Se non vuoi studiare, vai a lavorare», e quegli anni mi sono serviti per diventare quello che sono oggi. Nel tempo libero scrivevo le canzoni, certo, ma da qua a dire che uno per essere un buon artista deve fare 35 anni in fonderia, ce ne passa. Ma perché, Freddie Mercury ha mai lavorato? Questo per dirti che puoi essere un grande artista anche se sei un figlio di papà. Nel rock, nella musica, non esistono le frasi fatte. Quei personaggi, che come lui (Pino Scotto ndr.) ce ne sono a decine, sono i falliti della musica.
Sei contento dell’empatia che hai avuto in questo anno o senti che qualcosa di Cristian non sia stata compresa?
Se me lo chiedi è perché lo hai già capito. C’è una parte di Bugo che vuole dimostrare chi è, nonostante i vent’anni di carriera e 10 dischi pubblicati. Gli haters che ancora mi insultano non sanno bene da dove arrivo o come sono, vedono solo un artista che dopo un casino a Sanremo è diventato famosissimo. Loro hanno un pregiudizio, ma va bene così.
Però ne sei uscito bene da quella situazione.
Tanti mi hanno sostenuto in quel momento in cui qualsiasi artista si sarebbe rivelato per ciò che è. Tra stanchezza, la gente che ti guarda e l’emozione, non puoi fare l’attore, non puoi fingere. Lì vieni fuori al 100%. La gente si è accorta di come sono e mi ha dimostrato un’empatia incredibile. Certo, ci vorrà ancora del tempo prima che le persone sappiano bene o abbiano un’idea più chiara di quello che sono.
Quindi in questo la televisione non ti ha aiutato?
Io di televisione ne ho fatta volutamente pochissima.
Però avresti potuto cavalcare di più il successo in quel momento.
I coglioni cavalcano quelle cose. Io non sono così, io sono un cantautore. Sono andato giusto da Mara (Venier ndr.) perché mi aveva invitato la settimana prima, poi da Daria Bignardi, ed è finita lì. Alla televisione preferisco i social. Ci sono degli artisti che dicono “chi se ne frega, è roba da ventenni”. Invece no, devi dare del contenuto ai social, altrimenti rimarranno lo specchio per chi non ha niente da dire. Fosse vissuto in quest’epoca, anche Jimi Hendrix avrebbe utilizzato i social.
Tornando a Sanremo 2021, come sarà esibirsi senza pubblico?
Da artista che adora stare di fronte ad un pubblico, sarà un mezzo dramma. Però l’ho già fatto in passato, al Primo Maggio dell’anno scorso. Se deve essere così, col teatro buio, le luci in faccia, ed un pezzo che spacca, non ci pensi e porti l’esibizione a casa.
Recentemente al centro dell’ennesima bufera ci sono finiti Fedez e Francesca Michielin. Non credi che chi urla alla squalifica si stia accanendo un po’ come successe a te l’anno scorso?
Ma anche avesse fatto un’ingenuità Fedez, non capisco questo accanirsi, questo fare i giudici dei peccati altrui. Ma siamo qui a fare le lotte come gli antichi romani? Se Fedez fosse al centro del Colosseo, la gente gli farebbe il pollice verso, urlando «fatelo fuori». Oggi è Fedez, prima era Bugo, ancora prima Vasco. I social amplificano, è vero, ma massacravano anche Battisti: dicevano che non sapeva cantare e guarda poi cosa è diventato.
Invece sì è – come hai detto più volte – una canzone Bugo al 100%. In tutti questi anni di carriera c’è stato un momento in cui non eri Bugo al 100%?
Io sono l’artista più onesto di tutti i tempi, non rinnego una sola parola.
Insomma, sei sempre stato “sincero”.
Lo sai che quella canzone avrei voluto chiamarla in un altro modo? Volevo chiamarla Volevo fare il cantante, ma poi ho optato per un titolo più corto e più personale.
Spulciando sul tuo merchandising ho trovato una maglietta con la scritta “Dov’è Bugo?”. Non pensi che l’ironia sia infinitamente più eloquente di tutti i silenzi intercorsi?
Nessuno ha inventato niente, soprattutto quella frase. L’artista onesto, l’artista che non accetta certe situazioni, che vuole essere sé stesso, è quello che va anche via. Non si può sempre rimanere. L’unico riferimento fatto a quella storia, l’ho fatto con questa maglietta. E vedi dove l’ho messa? Sul mio store, uno spazio dedicato a chi mi conosce.