Sembra un paradosso, come le composizioni impossibili di Escher, ma in una catena l’anello debole in realtà è il più forte perché tiene sotto scacco tutti gli altri. È l’unica singolarità che regola l’integrità complessiva della pluralità. Vasco Rossi questo è stato per buona parte della sua carriera: una mano in grado di far saltare il banco, una scala minore che batte quella maggiore, un outsider divenuto rockstar, un cantautore di pochi divenuto il cantautore di tutti. È proprio per questo che quando esce un nuovo brano è sempre difficile dare un giudizio. Si costruiscono grovigli di domande discordanti: questo brano, per quanto bello, potrà mai essere come Vivere? Questo brano, per quanto brutto, è comunque migliore di tutto quel che c’è altrove? E infine: questo brano che si colloca lì nel mezzo, se lo avesse scritto chiunque altro, sarebbe un capolavoro oppure al contrario qualsiasi brano là fuori, se interpretato da Vasco, risulterebbe un capolavoro?
Tutti questi interrogativi non ci distoglieranno dal nocciolo della questione: Una canzone d’amore buttata via è un buon brano che mentre lo si ascolta genera visioni live fatte di folle oceaniche in subbuglio che mescolano lacrime, sudore, saliva, accendini e inchiostri sotto pelle. Ma fin quando ciò non sarà possibile, quel che emerge (è proprio il caso di essere sinceri) è un sound anacronistico e a tratti stantio, frutto dell’importanza di questo artista cui si parlava sopra. È come se chiunque prenda parte alla lavorazione di un brano di Vasco abbia un continuo senso di responsabilità, di sindrome dell’impostore. Non è mai abbastanza per Vasco Rossi. Questo porta ad una serie di errori imperdonabili: mettere sempre e comunque sezioni di archi e cori per rendere più nobile un arrangiamento non fa altro che renderlo meno viscerale, primitivo ed essenziale, castrando così le più grandi doti dell’artista (riconosciutegli nella motivazione per il premio Tenco di qualche giorno fa).
Nel caso specifico di Una canzone d’amore buttata via i cori suonano talmente male da sembrare un placeholder su una demo. Stesso discorso vale per i soliti assoli di chitarra elettrica virtuosi ed interminabili. Bellissimi eh, eseguiti perfettamente (e vorremmo anche vedere, Vasco ha avuto da sempre i migliori musicisti d’Italia) ma un ennesimo passo verso quel Barocco che sminuisce l’essenza. Tradotto: smettetela di trasformare Vasco Rossi in Freddie Mercury, perché la storia ci insegna che si può essere re anche senza scettro e corona. Spesso, anzi quasi sempre, è più nobile essere Robin Hood che il Principe Giovanni, Marco Aurelio piuttosto che Giulio Cesare. Naomi Campbell non è una donna più bella dentro un vestito tempestato di Swarovski, lo è quando è nuda e struccata alle sette del mattino. Fin quando Vasco sarà un fuoriclasse, un miracolato, una mosca bianca, godiamocelo avendo il coraggio di togliere il marmo in eccesso dal blocco e abbracciando in toto il Less is More.