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Il rock dei Led Zeppelin è morto (e resuscitato)

Avete mai sentito parlare di Glyn Johns? Questo signore, oltre ad essere uno degli ingegneri del suono più famosi di sempre (Beatles, Rolling Stones e gli Who, solo per citarne alcuni) è colui che ha “inventato” la batteria dei Led Zeppelin. Questa tecnica di registrazione ha garantito a John Bonham di avere quel sound pastoso e arioso che non si è (quasi) mai più sentito nelle tape del nuovo millennio. In primo luogo perché le batterie acustiche sono andate progressivamente diminuendo nei generi mainstream, ma soprattutto perché è una tecnica di registrazione dove ogni parte del kit è unita all’altra e quindi non editabile.

Senza entrare in tecnicismi, riassumendo, per registrare in questa maniera ci vuole un batterista con le palle. Ma come teorizzava Nietzsche c’è sempre l’eterno ritorno dell’identico nella cultura umana; c’è nella fotografia che ha reintrodotto nelle campagne di ampio consumo l’utilizzo dell’analogico (pellicola), nella moda e, altrettanto ovviamente, nella musica. In Red Flag Day (U2, Songs of Experience) ho sentito nuovamente dopo molto tempo un orientamento di registrazione sporco in un contesto ultra-pop, l’ho sentito nelle percussioni dei Greta Van Fleet e, ultimo non ultimo, l’ho sentito (almeno nelle intenzioni) nelle chitarre dei Måneskin. Potrei citare centinaia di band con questa attitudine, ma analizzerò queste tre perché raccolgono l’eredità dei punti d’interesse per noi italiani; cioè l’America dei Greta Van Fleet, l’Inghilterra degli U2 (inglesi per approccio e background di riferimento, non me ne vogliano i quattro di Dublino), e certamente un occhio in casa nostra con i Måneskin.

Il ritorno al rock, inteso come metodologia e criterio musicale, sta riscuotendo grande consenso nel pubblico. E se questo cambiamento lo guidano due band di teenager (che i Led Zeppelin li possono aver ascoltati solo su Spotify) e fa già un bell’effetto, è ancor più paradossale che ad assumere questa vecchia ma nuova muta, nel 2017, sia una band che ha sempre espresso idee ben diverse (penso ad Achtung Baby, album con massiccia dose di elettronica e al pop rock degli album storici). È pur vero che The Edge ha una cultura trasversale che spazia dell’ambient all’electro-pop, e che, quando partecipò ad uno degli eventi più importanti del pianeta come testimonial del suo strumento insieme a Jack White e – udite udite – Jimmy Page in persona, aveva mostrato grandissimo interesse per quella componente dirty propria degli altri due chitarristi (qui il video).

Greta Van Fleet

Ma passiamo ai Greta Van Fleet; è assolutamente troppo facile scagliarsi contro di loro dicendo che fanno roba vecchia, che l’alternative rock è morto e sepolto e altre centocinquanta baggianate. La verità è che fanno bene la loro musica e che sì, è la Loro musica. Perché allora dovremmo ricondurre tutti gli artisti del mondo a qualche altro collega del presente o del passato. Ennio Morricone diceva che ogni brano in fondo deriva da un pezzo classico che a sua volta era già stato ideato nei canti popolari. Quindi è chiaro che nessuno, ma tantomeno i Greta Van Fleet, possono essere definiti una cover band dei Led Zeppelin. Certamente la tecnica canora e in parte il timbro di Joshua Kiszka ricordano quel Robert Plant che si è anche leggermente e amichevolmente incazzato dicendo un altrettanto simpatico: «Lo odio».

Ma è ovvio che essere uno dei pionieri di un genere musicale che sembrerebbe esser tornato in voga, deve aver fatto mordere i polsi anche a uno che quella roba la fa da Dio e come nessuno al mondo. Non sappiamo dunque se i Måneskin ce l’abbiano fatto (o per i tipi difficili: ce la stiano facendo) grazie al rock oppure grazie agli occhioni e bicipiti di Damiano, non sappiamo nemmeno se alcuni fan degli U2 preferiscano pezzi dal sound più leggero e radiofonico, quel che sappiamo è che abbiamo ancora un fottuto bisogno di rock & roll, vecchio, stupido e nostalgico che sia.