Chiara, Ludovica e Damiano sono solo alcuni dei personaggi che rendono Baby la serie più trasgressiva dell’anno. Liberamente ispirata ad una storia vera, la serie segue le vicende di un gruppo di adolescenti del quartiere Parioli che sfidano la società ricercando la propria identità e indipendenza. Quanto accaduto a Roma alcuni anni fa è solo la cornice di questa storia; la prostituzione minorile è solo una delle vincende che racconta la serie.
Baby è infatti più una storia d’amore e incomprensioni che finiscono per portare i protagonisti a prendere strade sbagliate («Io sono la regina delle scelte sbagliate», dice a metà della seconda puntata Ludovica). Un incontro tra teen drama, grottesco e psicologico che racconta senza filtri il lato dark della Capitale. E per la prima volta questo viene fatto mettendo sotto i riflettori il ceto alto della città. Quella raccontata da Baby è una realtà vera e consolidata tra le strade dei Parioli e i più giovani probabilmente si riconosceranno nelle abitudini, nelle relazioni e nei disaggi dei personaggi. Questo perché la serie è il frutto di un’attenta osservazione da parte degli autori (i GRAMS) della quotidianità dei teeneger pariolini, dai luoghi di aggregazione alle canzoni che compongono le loro playlist Spotify (la serie si apre con Da sola / In The Night di Tommaso Paradiso e Elisa e si chiude con Torna a casa dei Måneskin).
Insomma, in Baby c’è tutto quel che funziona: c’è Roma, ci sono gli amori proibiti e c’è l’incomprensione adolescenziale che tanto va di moda in casa Netflix. Tutto si incastra e crea un intreccio di vicende che coinvolge. Ma il rischio che si trascina dietro la serie non è da sottovalutare: quello di Andrea De Sica e Anna Negri è un prodotto che se interpetato male potrebbe trasmettere al pubblico (in particolare alla fascia teen) il messaggio opposto per cui è stato pensato.