Studiando la semiotica ci si imbatte spesso nel concetto di eterotopia, termine coniato da Michel Foucault per indicare quegli spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l’insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano. Tra le varie caratteristiche che Foucalt rileva riguardo alle eterotipie, ce ne è una che definisce questi spazi come un sistemi d’apertura e di chiusura che al contempo creano isolamento e penetrabilità. Non sappiamo se Luca Guadagnino sia ispirato a questo, ma sicuramente questi concetti sono alla base di We Are Who We Are.
Prodotta per HBO e distribuita in Italia da Sky Atlantic, We Are Who We Are racconta le vicende di un quattordicenne newyorkése, Fraser (Jack Dylan Grazer), che si trova catapultato in una nuova realtà, la base militare american a Chioggia, vicino Venezia. Sua madre, infatti, è stata eletta come nuovo comandante della base e quindi l’intera famiglia è stata costretta a trasferirsi. È proprio nello spazio in cui i protagonisti si troveranno a vivere che prendono vita tutte le dinamiche tipiche di un’eterotopia.
Lo stile di Guadagnino, che negli ultimi anni ha raggiunto la visibilità mondiale grazie a Call Me By Your Name, è chiaro e percepibile fin dalle prime scene. Tutto è estremamente vero e autentico, senza sovrastrutture finzionali, il che è molto strano se pensiamo ai tantissimi teen drama di scarso livello degli ultimi anni. I protagonisti sono persone normali, con le loro sfaccettature sociali, sessuali e morali, ma i tanti temi toccati sono mostrati con normalità e contemporaneità, senza scadere nel classico politically correct tanto chiacchierato.
We Are Who We Are è una serie basata sui contrasti. Il primo contrasto è spaziale: da una parte la base militare, un luogo dinamico, con regole ferree, in cui le persone non possono esprimere veramente chi sono, ma devono portare la grigia divisa dell’esercito, dall’altra la città di Chioggia, un centro che ci viene mostrato come se il tempo non passasse mai, in cui gli anziani giocando a carte al bar e dove nulla di inaspettato accade. Il secondo contrasto è culturale. L’opera di Guadagnino è allo stesso tempo sia una serie americana che parla dell’Italia, sia una serie italiana che racconta il pensiero degli statunitensi all’alba dell’elezione del presidente Trump.
Un terzo contrasto è certamente quello tra i due giovani protagonisti, Frazer e Caitilin (Jordan Kristine Seamón). Il primo è un ragazzo che ama vestirsi in modo estroverso, tingersi i capelli e ascoltare musica. La sua famiglia è composta da due mamme e appare chiaro fin dall’inizio come la sua identità sessuale non gli sia ancora ben chiara. Caitilin, invece, ha origini nigeriane, vive da più tempo nella base, e vorrebbe essere un ragazzo, si veste coi i vestiti del padre e con lo stesso ama praticare la boxe. Allo stesso tempo inizia ad avere le sue prime esperienze sessuali con il suo fidanzato, senza però sembrare davvero sicura.
Con We Are Who We Are Guadagnino segue la scia di altri grandi registi italiani come Paolo Sorrentino e Matteo Rovere, portando il proprio stile e la propria poetica dal grande al piccolo schermo. Il risultato è un teen drama che nel sua racconto del reale, si posizione subito come una mosca bianca all’interno del genere. Una storia adatta a qualsiasi target, dai giovani stessi ai genitori, che permette di riflettere su cosa sia veramente l’adolescenza e su come oggi non si può abbassare la testa di fronte a tematiche come la sessualità e il multiculturalismo.