Mentre presenta il nuovo disco alla stampa, Samuele Bersani ripete spesso che non si tratta di un lavoro in pellicola, ma che ha l’ambizione di poterlo essere ad occhi chiusi. «Il più grande complimento che ho ricevuto è stato: “Tu scrivi dei piccoli cortometraggi per non vedenti”», dice. Berretto in testa e stivaloni alla King Schultz: è questo il nuovo look di Samuele, in piena coerenza con la grafica della copertina di Cinema Samuele che arriva a sette anni dal precedente Nuvola numero nove. Sono pochi quelli che si possono permettere un silenzio così lungo e in questo strano 2020 è persino riuscito a resiste alla tentazione di utilizzare i social per comunicare con il suo pubblico: «Sono stati anni in cui ho vissuto un momento di difficoltà creativa e non era neanche la prima volta».
Qualcuno gli fa notare che sette anni per scrive un disco sono tanti: «Per farlo mi sono preso tanto tempo. Avevo scritto troppi sms in cui cercavo di entrare nel cuore di qualcuno e probabilmente mi hanno spento dal punto di visto professionale. Ci credevo a “En e Xanax”, ma le cose sono poi crollate di brutto. Poi sai, bisogna vivere prima di scrivere. In questo lasso di tempo sono stato milanese un anno ed ho collaborato con Silvio Masanotti, poi un anno sono stato a Parma con Piero Cantarelli. Prima ho scritto le musiche senza le melodie, poi le melodie. Il lockdown mi ha inebetito. Con una gamba rotta, al terzo piano senza ascensore, ed un gatto ero tornato ad aver paura di scrivere. Nel post lockdown invece ho avuto una spinta per chiudere un paio di testi».
Fra i nuovi brani, Samuele è riuscito ad immaginarsi anche giornalista: «Mi sono messo nei panni di chi ha davanti una persona più arrogante che interessante. Molti personaggi si atteggiano senza motivo. Io sono cresciuto con un maestro sbagliato, che mi ha insegnato il valore dell’umiltà, Lucio Dalla. Lui non era un divo ed aveva lo stesso modo di fare con tutti. C’è invece chi a 20 anni ha già quell’atteggiamento arrogante che mi sta sui coglioni».
In questi sette anni non è cambiato solo lui, ma anche il panorama musicale in cui è immerso da quasi trent’anni: «Se devo parlare da spettatore c’è fame di roba bella, di storie, di canzoni. Servono meno “despaciti” e “reggaeton”. Non amo la trap, ma amo il rap, ad esempio trovo Salmo eccezionale. Ma lui è un autore vero. Negli ultimi anni è uscita troppa fuffa dai talent, troppa roba, ma d’altro canto mi rendo conto che le case discografiche sono un’azienda e la musica che vende è quella musica lì, quelli con i nomi con la J la K e la X. Ci sono anche cose che mi piacciono, come i National, sebbene io li abbia scoperti tardi, e i Bon Iver. Anche Fulminacci scrive molto bene».
E a proposito di Distopici e Scorrimenti verticali, due dei dieci brani di Cinema Samuele, dice: «Non sono un nativo digitale ma sono ormai un tossico dello scorrimento. La cosa tremenda è vedere la trasformazione antropologica. Passeggiavo quest’estate per il lungomare di Cattolica all’una e mezza di notte e invece che limonare i ragazzi guardavano i video sulle panchine. Tra l’altro la comunicazione si è molto imbruttita in questi ultimi anni e il dibattito fra i due contendenti alla Casa Bianca lo ha dimostrato. È evidente che il sogno americano è finito, oggi se avessi un figlio non lo manderei in America».