Tra i tanti fenomeni musicali passeggeri scaturiti da quegli anni ’80, in cui le amicizie adolescenziali tendevano spesso a diventare progetti musicali, quella dei Beastie Boys è una longevità piuttosto atipica, frutto non solo dal fatto di aver rivoluzionato un genere musicale in quell’epoca presente esclusivamente nelle comunità afroamericane, ma anche dall’averlo fatto senza averne coscientemente intenzione. Ad aver reso i Beastie Boys credibili è stata la naturalezza e la capacità di risultare sempre genuini senza dare mai l’impressione di voler seguire degli standard prefissati, ma semplicemente di fare la musica che sentivano di fare e di compiere ogni scelta seguendo l’istinto.
È con questa stessa attitudine che Adam Horovitz e Michael Diamond si presentano al pubblico all’inizio di Beastie Boys Story, il documentario disponibile da venerdì su Apple TV. Ad-Rock e Mike D danno l’impressione di essere lì per raccontare la loro storia senza artificialità e sensazionalismi, ma semplicemente per il piacere e il bisogno di farlo; un po’ per onorare il terzo membro del gruppo Adam Yauch, deceduto per cancro nel 2012, un po’ semplicemente per esternare al mondo tutte quelle componenti umane della loro esistenza che il successo spesso tiene nascoste.
Diretto da Spike Jonze, Beastie Boys Story non è il classico documentario musicale a cui ci siamo abituati ultimamente. Prima di tutto perché è un documentario dal vivo, poi perché Ad-Rock e Mike D raccontano il gruppo newyorkése con un’intimità assolutamente inedita. Dalle origini punk-rock fino allo sviluppo della passione per quel rap che per i bianchi era territorio proibito; dalle registrazioni improvvisate a casa di Yauch all’incontro con il giovane Rick Rubin; dal successo planetario di Licensed to Ill che rende tre ragazzi a malapena maggiorenni stelle di caratura mondiale alla separazione dalla Def Jam, con tutti i dubbi e le incertezze che a malapena maggiorenni si ritrovano ad affrontare, ma da cui riescono a ripartire insieme. E il filo conduttore di Beastie Boys Story è proprio questo: nonostante tutte le difficoltà e i cambiamenti, i tre sono rimasti sempre insieme, per 35 anni, fino alla morte di Yauch.
Arricchito da immagini e video inedite che lo accompagnano, il racconto di Ad-Rock e Mike D è caratterizzato da una grande maturità e capacità di interpretarsi in maniera assolutamente realistica: non c’è alcuna traccia di falsa modestia o di artificiosa umiltà. I due dimostrano grande consapevolezza del loro successo, ma non si esimono da giudizi anche severi nei confronti di loro stessi, specialmente parlando dell’infantilità di inizio carriera, che ha portato a scelte come quella di cacciare, poco dopo il primo incontro con Rubin, Kate Schellenbach dalla band o l’essere stati lontano dalle loro famiglie e l’aver abusato di droghe nel corso della loro carriera.
Particolarmente interessanti sono gli aneddoti su Adam Yauch che dal racconto degli altri due membri del gruppo emerge come la figura poliedrica che riusciva a mantenere tutti insieme, grazie alla sua creativa imprevedibilità che spaziava dal mondo musicale a quello ingegneristico, alla sua spiritualità buddhista che i suoi compagni ricordano con affetto. Un Mike D commosso racconta della capacità di Yauch di essere quel tipo di amico sempre capace di motivarti a essere la migliore versione di te stesso. Insomma, Beastie Boys Story è la storia reale di un’amicizia giusta, che sopravvive al successo planetario, alle leggi di un mercato musicale in evoluzione, ai cambiamenti individuali e persino alla morte di uno di loro, senza mai affievolirsi. Ed è forse proprio questo che ha reso i Beastie Boys immortali.