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“Rushmere” è il ritorno alla normalità dei Mumford & Sons

“Rushmere” dei Mumford & Sons potrebbe sembrare monotono o il tentativo di ritrovare la strada dopo una fase di smarrimento. Tuttavia, rappresenta un ritorno consapevole alla loro essenza

Dopo sette lunghi anni, i Mumford & Sons sono tornati con Rushmere, che verrà presentato in concerto in Italia a luglio all’Arena di Verona, unica data estiva nel nostro continente assieme a quella di Dublino, e successivamente il 19 novembre all’Unipol Arena di Bologna, nel mezzo del tour europeo indoor. A dare il titolo al disco è un ritorno alle origini, nato in seguito sia all’uscita del chitarrista Wiston Marshall dalla band, sia all’uscita del disco omonimo di Marcus Mumford per il suo progetto solista, eventi avvenuti nello stesso periodo. Il nome fa riferimento a un laghetto presente nell’area di Wimbledon, nel sud di Londra, che ha visto la vera e propria nascita e formazione della band. Un vero e proprio ritorno a casa sin dalle prime note: è questo l’effetto che fanno Malibù, Caroline e il potere delle chitarre tipiche del folk. «Non avevamo fretta, abbiamo aspettato che fosse la musica giusta», ha dichiarato Marcus in un’intervista.

Anche la title track, primo singolo scelto per presentare il disco, sa di ritorno piacevole e si conferma una scelta azzeccata per per presentarlo. Monochrome riprende le sonorità un po’ neo soul, un po’ malinconiche à la Michael Kiwanuka. Ma la vera chicca del disco sin dal primo ascolto sembra essere Truth: la linea di basso iniziale aggiunge un tono più rock al disco, regalando un nuovo pezzo folk moderno degno di nota: il fatto che il tutto sia registrato in una città come Nashville non sembra assolutamente essere un caso. Di seguito Where It Belongs, cupa e inquieta e Anchor, scritta da Justin Young dei Vaccines: una canzone che sa di carezze sussurate, una malinconia nostalgica che non fa così male, piuttosto fa sorridere. Si potrebbe dire lo stesso di Surrender: qui la voce sussurrata diventa un crescendo a livello strumentale, pronto ad accogliere Blood On The Page e Carry On, ultime due tracce del disco.

La prima vede la partecipazione della cantante folk californiana Madison Cunningham, unica ospite nel disco, mentre la seconda è un vero e proprio canto di speranza: sentir cantare le parole “there’s no evil in a child’s eyes” è qualcosa di potente e delicato allo stesso tempo, che dovrebbe aiutarci a ricordare più spesso di quanto siamo umani. Ad alcuni potrebbe sembrare monotonia, o un tentativo di riprendere la retta via dopo essersi persi per un po’, senza però riuscire ad arrivare ai livelli degli inizi. In ogni caso, seppur con un sound infinitamente riconoscibile e riconosciuto, Rushmere segna a modo suo una svolta nella carriera dei Mumford & Sons: nessun cambio di direzione, anzi. Una boccata d’aria fresca, una sorta di ritorno alla normalità dopo stravolgimenti e anni di cambiamenti.

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