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“Blur: To the End”, il ritorno, la fine e tutto il resto

“Blur: To the End” diretto da Toby L. è una storia del qui e adesso, un concentrato di vita insieme. Un racconto di profonda amicizia, onestà emotiva e di sincera consapevolezza del tempo che passa

«Il successo può rovinare tutto, qualche volta lo fa anche più del fallimento. Per questo c’è bisogno di spazio. Ma quand’è che lo spazio diventa distanza?». Damon Albarn nella sua countryhouse nel Devon deve esserselo chiesto più volte. In quasi dieci anni, si erano a stento parlati. Graham, Alex, Dave e lo stesso Damon si sono presi una lunga e necessaria pausa dai Blur, hanno iniziato nuove carriere, ripreso progetti discografici, riscoperto se stessi. Toby L. li ha seguiti prima da fan che da regista: «Avevo nove anni quando ho comprato Parklife in cassetta. Me ne sono innamorato. E da lì ho scoperto i Pulp, gli Elastica e tutta quella scena lì per poi approfondire le decadi del passato. Penso che se ti innamori dei Blur oggi come allora ti si apre automaticamente un nuovo mondo», mi racconta. Nessuno ha avuto dubbi su chi fossero stati i Blur degli anni Novanta. Ci siamo tutti riempiti gli occhi e le orecchie di successi planetari oltre la faida britpop da tabloid, di ballad emozionanti e arene stracolme. «I Blur avevano già all’attivo diversi documentari che ne testimoniavano la grandezza in quanto band. Sarebbe stata una perdita di tempo viaggiare su quella scia. Ho voluto trovare una prospettiva nuova e mostrare chi sono i Blur oggi, a questo punto della vita, quali sono i loro sentimenti, i loro pensieri».

Blur: To the End, nei cinema italiani solo dal 24 al 26 febbraio, è una storia del qui e adesso, un concentrato di sei mesi di vita insieme, dall’incontro dopo quasi dieci anni, alla registrazione del disco The Ballad of Darren, fino al tour. Un racconto di profonda amicizia, onestà emotiva e di sincera consapevolezza del tempo che passa. «Ci sono due grandi tematiche che si intrecciano nel corso del documentario: la mortalità, (il sottile confine tra vita e morte) e l’invecchiare». E così, la scena che apre il documentario ci porta a bordo di un fuoristrada con Damon Albarn alla guida verso la spiaggia. Si parla di tempo che scorre inesorabile, dell’età che avanza. «La prima vera scena girata è effettivamente quella che si vede. Una scena rivelatrice ed onesta. Io stesso sono rimasto sorpreso di quanto fosse stato tutto naturale. Quando si inizia a girare si ha un’idea ma non si sa poi come andrà effettivamente». Toby ci accompagna nel Devon, in riva al mare, ad assistere ad un incontro tanto atteso, con la delicatezza e discrezione di chi sa che è lì per raccontare più che la reunion di una band, la storia di un’amicizia ritrovata. La casa di campagna di Damon, i Church Studios, i van e backstage dei primi concerti promozionali fanno da sfondo a riflessioni, dubbi, battute e pianti liberatori. Colpisce la sincerità di Alex Graham e Damon nell’esprimere le proprie preoccupazioni («Quanto vuoi sacrificare di te stesso per il bene della band?», si chiederà onestamente Dave) e allo stesso tempo la naturale e condivisa associazione della band al concetto di famiglia. «Ho cercato di far in modo che quando sentivano la presenza della camera fossero a loro agio, onesti, aperti e che si fidassero – spiega Toby – Tutto ciò che è stato detto e filmato è stato preso ed interpretato nel modo più sensibile e rispettoso possibile. Il mio obiettivo era generare empatia e sono davvero grato ai Blur per il lavoro che mi hanno permesso di fare».

Blur: To the End è già di per sé un titolo evocativo, un’autocitazione della band risalente al disco Parklife del 1994. La scelta, in realtà è stata quasi casuale, ma incredibilmente aderente allo scopo finale del documentario: «Stavamo girando e non avevamo ancora riflettuto su quale titolo scegliere. È stato il team della band a proporlo. Tutti hanno detto “che bel titolo” senza aver visto il girato; in realtà sorprendentemente, a posteriori, riassumeva il senso di tutto». Fino alla fine: è l’ambiguità dell’espressione a renderlo ancora più adatto alla narrazione. Un’ambivalenza da interpretare, secondo il regista, in modo coraggioso o speranzoso, o ancora come una triste consapevolezza. Il mare apre e chiude To the End. «Il film è sulla vita e morte, sui ritorni. Pensa al mare, all’orizzonte che sembra infinito, le onde che ti prendono e ti riportano costantemente. È bellissimo, ma allo stesso tempo brutale quando ti porta via». «Torneresti il prossimo anno?», si chiede ad Albarn negli ultimi minuti del documentario. «No. Non dico che questa è la fine. Ma è una cosa che riaccadrà, se deve riaccadere». Nella scena finale, in mare, non sai se Damon sia ancora lì o è andato via. «Ecco, è proprio quello il senso di To the End».

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