C’è una riflessione di Carl Gustav Jung che dice: “Il caos è la parterrazza su cui si costruisce la stabilità interiore”. È un pensiero che sembra permeare ogni nota di Oltre il caos, il disco d’esordio di Fil. Piuttosto che temerlo o cercare di dominarlo, l’artista sceglie di immergersi nel disordine, facendone una lente attraverso cui osservare l’amore, le relazioni, e il rapporto con sé stessi. Grazie a sonorità che intrecciano R&B, afrobeat, rap ed elettronica, Fil costruisce un mosaico di esperienze ed emozioni che accoglie la complessità dell’essere umano. In questa intervista ci accompagna in un viaggio che parte dalle sue radici e passa per i suoi viaggi, per svelarci come ha trasformato il caos in un motore creativo capace di generare autenticità e bellezza.
Il titolo del disco, Oltre il caos, suggerisce che c’è stato un superamento. È effettivamente così oppure andare oltre il caos significa farci pace ed accettarlo nella propria esistenza?
Mi piacerebbe pensare che Il superamento che suggerisce Oltre il caos sia definitivo, raggiunto un certo grado di consapevolezza, ma non credo proprio. Si tratta anche della capacità di saper vedere oltre il caos che regna a volte nel nostro interno e avvolge l’esterno. Intende anche un superamento continuo e insito nella natura dell’essere umano necessario per l’evoluzione del singolo e della società stessa. Essendo il caos parte della nostra vita, inteso come momento di difficoltà personale o sociale, di confusione, incertezza, dove ci si sente avvolti dall’ oscurità dell’ignoto e ciò penso sia normale che spaventi, ma in fondo se è parte della nostra vita va accettato. Ma è dura accettare le atrocità che l’essere umano s’infligge. Guerre, conflitti e traumi di vario genere che impediscono che la luce dell’amore filtri attraverso le persiane di una società che crea solitudine, perché quel livello di caos supera il limite. Ma non c’è limite all’odio. Ognuno di noi vive in misura diversa il suo caos ed è compito nostro cercare di superarlo ma è la stessa vita, se fortunati, a donarci la possibilità di uscire da questa dimensione facendoci andare oltre. Il disequilibrio tra il bene e del male regna dai tempi dei tempi. Il caos, inteso anche come imprevedibilità, nasce con noi e c’è il rischio che con noi viva fino al giorno che ce ne andremo, se non si cerca di capire, accettare e provare a superare ciò che affrontiamo.
Hai descritto ogni brano come un luogo sonoro. Qual è stato il tuo obiettivo nel creare questi spazi? Volevi che fossero rifugi, specchi o altro ancora?
Ogni canzone emette un colore e calore proprio e nel mio immaginario ogni genere può rilasciare sfumature creando un “luogo” dove le parole si fondono con il ritmo. Grazie all’aiuto di Lorenzo Avanzi (produttore dell’album intero ndr.) ho deciso di sperimentare e lasciarmi andare cercando di trasmettere qualcosa che possa venir raccolto e personalmente interpretato.
A tal proposito: avere diversi mondi musicali dentro uno stesso album può rischiare di destabilizzare l’ascoltatore. Mescolare R&B, rap, afrobeat ed elettronica è qualcosa che ti ha preoccupato in fase di scrittura e durante le scelte di sound?
Cambiamo stati d’animo spesso e volentieri, emozioni contrapposte si scontrano e convivono nella stessa mente. L’odio convive con l’amore, la calma si alterna a momenti di agitazione. Se in una sola persona possono convivere emozioni diverse, penso che in un album possano convivere generi musicali diversi. Potrebbe risultare insolito e inaspettato per l’ascoltatore, ma in fondo la vita che viviamo non è da meno.
C’è un luogo, reale o immaginario, che rappresenta il tuo rifugio creativo?
L’ispirazione è un momento dove ci si connette con la vita, con noi stessi e ciò che ci circonda, le immagini scorrono più chiare e nuovi stimoli attivano nuove connessioni. Ciò penso che accada quando il desiderio ci invade, esce dalla mente e avvolge l’anima. Il desiderio di rivedere qualcuno, di vivere diversamente, di amare, di sognare, di pace, di ribellarsi. Penso che questo desiderio sia un buon punto di partenza per un “luogo” creativo, il luogo e le circostanze che uno preferisce possono aiutare, ma a volte non bastano per esprimere ciò che provi.
Che poi, per restare in tema di luoghi e spostamenti, nel disco si percepisce una forte influenza dei tuoi viaggi. Come l’esperienza in Uruguay o in Australia ha arricchito la tua visione musicale oltre che ovviamente il tuo modo di leggere il mondo?
Il Paese che più mi ha influenzato durante i miei viaggi è la Spagna. Arrivato a diciotto anni con una mente confusa e piena di rabbia, ho lavorato e dedicato tempo alla vita. Esperienze all’insegna della condivisione hanno fatto sì che uscissi da quel guscio che mi impediva di essere me stesso. Dal rap di protesta passai a melodie più dolci. Incominciai ad affrontare tematiche differenti e la chitarra e il flamenco mi accompagnarono in questo cammino senza mai abbandonare le mie radici rap. È anche tramite artisti spagnoli che mi sono ispirato a nuovi generi, vedendo in loro un’ apertura nei confronti di stili diversi. L’Uruguay e l’Australia sono state esperienze di vita più brevi ma che a loro modo arricchirono il mio bagaglio. Ho viaggiato per cercare di stare meglio e trovare nuovi stimoli vista l’oscurità che mi avvolgeva.
A proposito di viaggi, visto che tu descrivi la tua musica proprio come un lungo viaggio, pensi che esso abbia in fondo una destinazione oppure secondo te è il percorso a definire chi sei?
Tutto cambia, mi stravolge e trasforma le mie certezze. Vivo cercando di seguire il mio istinto e questa è una delle poche cose che ho sempre fatto. Spesso non ho avuto una vera e propria direzione, concentrandomi nel viaggio come tipo di cura. Ogni passo compiuto, ogni esperienza aiutava a calmare le mie ansie ed il mio odio, spesso ingiustificato, nei confronti della società e delle persone intorno a me.
L’idea di autenticità è centrale nel disco, ma in un mondo sempre più digitale sembra un valore in crisi. Come cerchi di mantenere questa autenticità nella tua musica?
Ciò che viene percepito come autentico è perché nasce dal cuore. L’uso eccessivo del digitale rischia di fargli perdere la sua essenza. Ma è un rischio che si può correre. Penso che il progetto nato in seguito ad un’emozione a grossi margini prima che il digitale intacchi la sua autenticità.
Quanto pensi che il caos sia davvero necessario per creare qualcosa di significativo?
Spero che non sia per tutti e tutte così. Ma per me è stato così e così continua ad essere, alti e bassi, momenti di crisi, rabbia e comprensione si alternano. Con ciò non penso che il caos sia necessario per creare qualcosa di significativo ma è spesso inevitabile convivendo con la nostra vita.
La tua storia, anche prima di questo nuovo progetto, parla di un forte desiderio di protesta. C’è qualcosa che nella società odierna ti fa arrabbiare profondamente?
Guerre, conflitti, politica, tutto si muove per interessi di pochi e poco viene mosso per il popolo. Restrizioni continue, non vogliono che manifestiamo, che esprimiamo le nostre idee. Dovremmo seguirli secondo loro, come l’asino che insegue la carota del padrone. Non mi fido della politica, dei media, mezzi ormai gestiti dal potere per il controllo della popolazione con l’obiettivo di creare un pensiero unico. Gaza è rasa al suolo e chi potrebbe fare qualcosa per fermare lo sterminio di migliaia d’innocenti e il genocidio in atto, continua a finanziare le armi. Potrei continuare perché la rabbia ha “un sonno molto leggero” e di inganni da parte di chi è al potere ne è pieno il mondo.
In risposta alla rabbia c’è però anche tanto amore nella tua musica. Come nasce Romanticamentee cos’è realmente l’amore per te?
In risposta a tanti periodi di difficoltà, confusione, caos e rabbia, per evitare di diventare bombarolo. Ciò che mi ha dato la forza per andare oltre è stato l’amore. L’amore penso sia più forte dell’odio. L’amore cura le sofferenze, riempie i vuoti lasciati da alcune mancanze, ci porta a migliorarci. Ma l’amore ha bisogno di dettagli quotidiani, di costanza, quando si dà per scontato qualcosa in una relazione è la vita spesso a ribaltare le carte in tavola e colpendoci duramente e senza avvertire ci insegna. Siamo poco educati al vero amore penso, mettiamo le nostre paure davanti ai nostri desideri condizionando noi stessi e chi abbiamo di fianco. Dopo poco che stiamo con una persona, se ci teniamo veramente, scatta la paura di perderla e così diamo il via alle prime sofferenze che ci porteranno all’inevitabile conclusione, ed è proprio l’incapacità d’amare che porta certi “uomini”, se così vogliamo chiamarli, a non accettare la separazione, a perdere la testa e odiare fino ad uccidere. L’ amore non può causare questo. Romanticamente nasce da un incontro che dona nuove sensazioni per tornare ad amare, dopo che relazioni passate avevano lasciato qualche piccola ferita ricucibile solo col tempo e con l’amore.