In filosofia esiste il concetto di antifragilità, introdotto da Nassim Nicholas Taleb, che descrive la capacità di un sistema non solo di sopravvivere al caos, ma di crescere grazie ad esso. Proto sembra incarnare questa idea con il suo disco d’esordio Disagio, Vol.1, un’opera che non si limita a descrivere il disagio, ma lo abbraccia, trasformandolo in forza creativa. È un po’ come il concetto di Wabi Sabi: l’arte di accettare l’imperfezione, la transitorietà e l’incompiutezza come elementi di bellezza. Proto sembra portare queste chiavi di lettura del mondo nella musica, valorizzando non la perfezione, ma le sfumature e gli angoli irregolari che rendono un brano, una melodia, un’emozione davvero unici.
Il disagio è il tema centrale del tuo disco. Cosa significa per te questa parola e come hai imparato a conviverci?
Disagio per me è il non sentirsi a proprio agio, il non sentirsi mai all’altezza delle situazioni che presenta la vita, ma è anche una forma di evasione dagli schemi che sadicamente ci autoimponiamo; quando c’è del disagio è tutto più genuino e autentico ed io con il tempo ho imparato ad accettarlo e a conviverci molto bene.
Hai descritto il disagio come una “dolce condanna”. Questo mi ha fatto subito pensare a due recenti interviste: una a Paolo Sorrentino e una ai fratelli D’Innocenzo in cui hanno spiegato che è proprio nel disagio che risiede la poesia. È ciò che intendevi tu quando gli hai usato l’aggettivo “dolce”? È questo genere di poesia che cerchi di trovare e condensare con la tua musica?
È esattamente quello che intendo, per me è una dolce condanna perchè lo ritrovo quasi ogni giorno nella mia vita, ed è un disagio che, per quanto a volte possa far soffrire, regala alla mia vita un che di poetico, magico quasi etereo che provo a raccontare nelle mie canzoni.
Che poi in un mercato musicale che punta spesso alla perfezione, tu in opposizione vuoi valorizzare le imperfezioni. Ad esempio mi ha colpito subito molto il modo particolare con accentui la doppia R in “Terra/Guerra” su Canzoni del disagio. Che ruolo ha l’attitudine naïf nel tuo progetto?
Per me è fondamentale, ho lasciato molto spazio all’istinto. In questo processo creativo sono state molto più importanti le idee e non la loro perfezione, in questo mi sono anche lasciato molto guidare dall’esperienza del mio produttore artistico Peppe Levanto.
L’album alterna momenti di spensieratezza e profondità. Sia questo elemento che la capacità di mescolare passaggi molto melodici ad altri più verbosi e dunque ritmici mi hanno ricordato Giovanni Truppi. È un artista che ti piace?
Giovanni Truppi è uno degli artisti da cui ho preso tanta ispirazione, ma così come l’ho presa anche da tanti altri artisti che possono essere anche molto lontani da quello che faccio. Mi piace fare molta ricerca nelle melodie, quasi in maniera perversa; nel bilanciamento tra gli aspetti melodici e quelli più ritmici tendenzialmente influisce la funzionalità di questi nel messaggio che voglio comunicare. Testo e melodia per me devono essere l’uno al servizio dell’altro e deve avere tutto un senso, almeno nella mia testa.
Artisti incredibili come Dalla, Gaber, Calcutta o Brunori Sas ci hanno insegnato che prendersi poco sul serio e fare sfoggio di auto ironia aiuta paradossalmente ad avere più leggerezza e coraggio nel trattare temi profondi. Vale lo stesso per te?
Mi riconosco molto in questo, anch’io nel mio piccolo affronto dei temi profondi ma senza mai far mancare un pizzico di leggerezza e ironia, ricercando un mio stile identificativo nella scrittura.
Eppure da diversi anni paiono essere tornati di moda i testi da gangster e gli artisti spacconi. Come vivi il panorama musicale contemporaneo, lo ignori o ti influenza?
A me interessa molto capire in che direzione va la musica oggi, sono un osservatore sotto questo punto di vista, ascolto tutto senza pregiudizi e mi faccio influenzare da ciò che mi piace.
In Per non farti preoccupare, inviti a prendersi cura delle emozioni. Cosa significa per te davvero prendersi cura di sé stessi?
Per me significa sapersi ascoltare, impegnarsi e fare di tutto per stare bene con noi stessi, circondarsi di persone che ci amano, apprezzarci per quello che siamo; dovremmo essere sempre gentili con noi stessi.
Qual è stata l’ultima cosa che ti ha emozionato profondamente?
L’ultima cosa che mi ha emozionato profondamente è la melodia di un brano de Il guardiano del faro.
C’è una paura che senti di aver superato attraverso la musica? O qualcosa che la musica ti ha insegnato su di te?
La musica mi ha aiutato a combattere la paura del giudizio, mi ha insegnato ad essere totalmente libero nel mio modo di esprimermi e a fregarmene di ciò che gli altri hanno da dire. Grazie alla musica sono anche riuscito a gestire la mia innata timidezza.
Il disagio, a volte, è un modo per sentirsi vivi. Visto che esistono due scuole di pensiero antitetiche a riguardo: tu pensi che sia necessario passare attraverso il dolore per creare qualcosa di autentico oppure no?
Non credo assolutamente che il dolore sia una condizione necessaria nell’arte, credo invece che ciò che fa la differenza sia l’esigenza di comunicare qualcosa; più forte è l’esigenza e maggiore e l’autenticità.