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Marracash è finalmente fuori dalla gabbia

Marracash conclude la trilogia iniziata cinque anni fa con un disco che rappresenta «un banco di prova per gli altri rapper», ma anche un viaggio nella propria rinascita

Era l’ottobre del 2019 quando tutto ebbe inizio: il ritorno, accompagnato da indizi criptici che ci portarono passo passo a scoprire il concept e gli ospiti di Persona. Poi, due anni dopo, Noi, loro e gli altri scandagliò i rapporti umani che ci circondano, analizzando la società che ancora viveva gli strascichi di una pandemia che rivoluzionò il mondo circostante. Ieri, Marracash ci ha voluto fare un regalo di Natale anticipato, pubblicando a sorpresa È finita la pace, simbolica chiusura di una trilogia iniziata cinque anni fa. Sulla scia di quanto fatto da Kendrick Lamar poche settimane fa con GNX, il “Kendrick LaMarra” nostrano è tornato come un fulmine a ciel sereno, con zero promo, nessuna campagna di avvicinamento alla release del disco e, in controtendenza rispetto agli standard attuali, nessun featuring all’interno delle tredici tracce. Perché se non lo avessimo ancora capito, Marracash è così: non segue logiche di mercato, non scrive il disco per accontentare il pubblico o per volare in testa alle classifiche, rifiutando le formule standard attuali che caratterizzano il novanta per cento della musica odierna. Ed allora sarebbe ipocrita pensare di analizzare un disco con così tante chiavi di lettura ad appena ventiquattro ore dalla sua uscita, come ogni disco di valore ci vorrà del tempo per apprezzarne tutte le sue sfaccettature, capirne ogni references. Incontriamo Fabio nei nuovi studi Universal, a pochi chilometri dalla Barona che lo ha cresciuto ed ancora meno dalla zona Corvetto, teatro pochi giorni fa di una guerriglia urbana che ha (ri)messo le periferie sotto l’obiettivo della cronaca nazionale.

È finita la pace rappresenta una chiusura ideale di un percorso lungo, che ha portato l’artista ad analizzare in primis sé stesso. «Chiudendo il disco ho terminato il mio periodo di serenità. Ma la pace è finita anche per il resto della scena, questo disco vuole essere un banco di prova per gli altri rapper. E, soprattutto, non c’è più pace nel mondo esterno, in un’epoca in cui veniamo bombardati da notizie di guerra quotidianamente. Ho chiuso il disco una settimana fa. Sono idealmente uscito dalla gabbia che mi ero creato attorno dopo parecchio tempo. Dopo il tour nei palazzetti, dopo il Marrageddon mi ero trovato a pensare: ed adesso che cazzo faccio? Sono caduto nel bornout, svuotato dentro dopo mesi di frenesia». E questa guerra interiore, questo conflitto col mondo risalta immediatamente dopo aver messo play: Power Slap colpisce forte, un ceffone a colpi di barre ed incastri, nella più classica tradizione rap. Ce n’è per tutti: i magazine di settore, gli artisti pluripremiati coi platini, il governo meloniano. Uno spaccato di tre minuti che riavvolge subito il filo del discorso, chiuso nel 2021 con Cliffhanger. Marracash scoppia la bolla che avvolge questo mondo monotono ed asettico. La bolla musicale, fatta di logiche stereotipate e monotona («Non esci dal solito percorso Sanremo-tormentone estivo-repack del disco: questa formula ha stancato»); la bolla social, in cui tutti cercano la formuletta per apparire più spesso, diventare di tendenza, virali, farcela nel giro di pochi scroll; la bolla del politically correct, con uno dei pezzi che faranno storcere maggiormente il naso ai più, Troi*.

Al settimo disco sembra anche che Fabio abbia voluto riallacciare il discorso, sviluppando ed aggiornando tematiche già affrontate in passato appunto. Non può non risaltare il parallelismo tra, appunto, Troi* e la precedente *Roie, contenuta nel suo secondo album, Fino a qui tutto bene. Cosa è cambiato in quattordici anni? Che continuiamo ad etichettare solo le donne con dispregiativi. «Forse sono solo l’unico ad essere onesto, dire playboy non sarebbe lo stesso, casanova, dongiovanni, troia lo rende meglio». Quell’asterisco, ora così di moda, potrebbe essere sostituito da una “a”, una “o” o persino una “u”, come si ironizzava nell’ultima stagione di Boris. Ma anche Mi sono innamorato di un AI sembra voler evolvere Sindrome depressiva da social network, contenuta in Status del 2015. Altra connessione stretta è quella con la musica cantautoriale e lirica italiana. Negli ultimi album Fabio ha spesso voluto omaggiare la musica che lo ha cresciuto: «Il viaggio da Milano alla Sicilia era lunghissimo, avevamo ore coi miei in cui mi facevano ascoltare tantissima musica italiana. Essa mi ha cresciuto, sono contento se riesco a campionarla rendendole omaggio». Siamo passati da Ambra e I Corvi in Persona, a I Pagliacci di Leoncavallo e Vasco Rossi. Anche in questo ultimo capitolo Marra non si è tolto da questo onere: troviamo un campionamento dei Pooh, nella title track l’omaggio ad Ivan Graziani, la Madama Butterfly di Puccini.

Proprio la parte centrale del disco sembra riempirsi di contenuti, saltando appunto dalla predominanza che si stanno conquistando le intelligenze artificiali nella vita odierna («In tutti i settori, sembra che cerchiamo la formula algoritmica per piacere, per andare in classifica: è assurdo vedere nei credits di un brano sei o sette autori») al commiserarsi per giustificare il non realizzarsi, il non farcela. Vittima è appunto questo, il dire basta al piantino facile: «Anch’io vengo da una situazione familiare difficile, da una zona che ai miei tempi era ai margini di tutto. Oggi però sembra sia più facile piangersi addosso, piuttosto che rimboccarsi le maniche per uscirne». O anche Factotum, che personalmente mi ha molto ricordato Eroe (Storia di Luigi delle bicocche) di Caparezza. Insomma, al termine dei cinquanta minuti con cui scorre il disco sembra che arriviamo ad un Happy End nel percorso di Marracash. Una consapevolezza che ha conquistato duramente, una pace interiore frutto dell’aver intinto nella penna i suoi demoni personali. Magari Fabio riuscirà anche a dormire da domani («Soffro di insonnie, prendo un sacco di sonniferi, è una dipendenza cui non ho ancora trovato rimedio»), vedendo conclusa questa trilogia che ha spostato il suo ruolo da rapper a cantautore, completando un percorso che lo ha consacrato nell’Olimpo della musica italiana. Ed adesso la sfida degli stadi, da preparare con cura e dovizia di particolari, come ha sempre fatto.