Di recente ho scoperto la differenza tra scordare e dimenticare: benché li utilizziamo indifferentemente, i due termini indicano qualcosa di simile ma non esattamente sovrapponibile. Se scordare infatti determina qualcosa che svanisce dal cuore, dimenticare indica invece qualcosa che lascia la mente. Ecco perché sarebbe più corretto dire che ci si può scordare di un amore e dimenticare il nome di un nostro vecchio professore universitario. E allora ecco che dopo l’ascolto di Soundtrack For Imaginary Movie Vol 1 dei C’mon Tigre ho la sensazione che esso sia un disco impossibile da scordare, seppur alcuni tratti possano essere dimenticati. Un disco avveniristico che fa da colonna sonora ad un film immaginato ma mai realizzato. Esce dalla messa in scena di alcuni racconti in parte scritti dagli stessi C’mon Tigre, in parte da quelli del maestro Raymond Carver, autore che cresce in te col tempo e che, se ci stringi un patto di fiducia, non ti abbandona davvero più. Siamo di fronte ad uno di quei dischi che non chiedono di essere semplicemente ascoltati, ma che piuttosto ti spingono a immaginare. Perché è evidente che questa sia un’opera che va oltre l’esperienza sonora – vuol essere piuttosto un invito a vedere con le orecchie e a leggere con il cuore. È la colonna sonora di un film inesistente, dicevamo, o meglio, di tanti film che aspettano di prendere forma nella mente dell’ascoltatore per cui se ci si cimenta con un tale prodotto si deve sognare ma con la mente accesa.
Oggi, penso io, si abusano nelle interviste o nei comunicati stampa formule logore per cui l’ascoltatore viene definito “parte attiva del progetto”, ma sappiamo tutti che il più delle volte queste sono solo frasi sensazionalistiche che vogliono ingannare o comunque esaltarsi oltre il ragionevole. Non è però il caso di questo nuovo progetto del duo italiano – qui trasformato in un collettivo compositivo – che è invece un vero e proprio mosaico di ventitrè scene che si muovono tra Tokyo, New York, Lagos e Rio de Janeiro e che, come detto (stavolta con cognizione di causa) prevede una importante triangolazione tra musica, autori ed ascoltatori. Ogni traccia racconta emozioni che sembrano universali eppure irrimediabilmente ancorate a contesti specifici, creando un dialogo tra intimità personale e tecnologia avanzata, tra il reale e l’immaginario, che poi altro non è che il marchio di fabbrica carveriano. La scelta di partire da una storia scritta in collaborazione con un modello di intelligenza artificiale è di per sé una provocazione. In un’epoca in cui si teme che la tecnologia possa sopraffare la creatività umana, i C’mon Tigre decidono di dialogarci, di usarla come strumento per amplificare lo spettro emotivo. È un gesto che non cerca risposte, ma che solleva domande: cosa succede quando l’uomo e la macchina si incontrano nel regno dell’immaginazione? Musicalmente, l’album è un viaggio caleidoscopico. Il progetto C’mon Tigre ha sempre esplorato il confine tra i generi, ma qui quel confine sembra dissolversi del tutto.
Le linee del basso pulsano come il battito di una città in movimento, mentre i fiati si muovono sinuosi, evocando atmosfere di cinema noir. Ogni traccia sembra un dipinto sonoro, con colori che cambiano a seconda della scena: i ritmi sincopati di Lagos si dissolvono nella malinconia metropolitana di New York, mentre Tokyo si riflette in melodie minimali e astratte. È un album che respira, che non si lascia mai rinchiudere in una formula, e che riesce a essere tanto intimo quanto epico. Ciò che colpisce di più è la capacità di rendere ogni traccia un’esperienza narrativa. Non c’è bisogno di uno schermo per vedere le immagini: le storie prendono forma tra gli archi, i sintetizzatori e le percussioni. Ma non si tratta di un gioco sterile: questo disco è vivo, e sotto la superficie di ogni brano si percepisce una tensione emotiva, un’urgenza di comunicare. Insomma: con Soundtrack For Imaginary Movie Vol 1, i C’mon Tigre si spingono in un territorio nuovo, inaugurando una serie che promette di ridefinire il modo in cui pensiamo alla musica per il cinema. Non è solo un esperimento, ma un atto di fede nell’immaginazione: un invito a chi ascolta a diventare co-autore di un film che non esiste, ma che potrebbe esistere in ognuno di noi.