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“Megalopolis”è l’azzardo disperato di un artista sognatore

Francis Ford Coppola torna sul grande schermo con “Megalopolis” che, per quanto importante e a tratti geniale, sembra destinato a rimanere “the greatest film never made”

Megalopolis con Adam Driver, Giancarlo Esposito, Nathalie Emmanuel e Aubrey Plaza è l’ultima fatica di uno dei più grandi registi della storia del cinema, Francis Ford Coppola. Già noto per i progetti titanici e le produzioni travagliate (emblematico il caso di Apocalypse Now), Coppola è arrivato, per coprire gli esorbitanti costi di Megalopolis, a vendere parte delle sue risorse personali. Il film, concepito alla fine degli anni Settanta e sempre rimandato poiché troppo difficile da realizzare, oltre che poco in linea con gli interessi delle grandi major hollywoodiane, si configura come l’azzardo disperato di un artista sognatore, in lotta con l’industria per affermare la propria visione del mondo. Il contenuto del film, un complesso intrigo politico-familiare sullo sfondo di una New York-Antica Roma tra lo storico e il fantascientifico, risulta assolutamente in linea con l’utopismo alla base della produzione. Megalopolis, infatti, non è solo un atto d’accusa verso l’immoralità, la meschinità e la bestialità grottesca delle civiltà imperialiste in decadenza, ma è soprattutto un grido di speranza. Coppola, passati gli ottant’anni, desidera riaffermare la fiducia che ripone nelle capacità umane di pensare, sognare e costruire: il protagonista del film, il geniale ma sfiduciato architetto Cesare Catilina, è come Coppola un artista visionario, in grado di sfruttare le evoluzioni scientifiche per costruire un futuro migliore per l’umanità.

Condizione necessaria alla realizzazione di tale utopia è l’amore: così come Coppola ha avuto bisogno dell’adorata moglie Eleanor (alla quale il film è dedicato), Catilina trova la forza per realizzare i suoi progetti solo dopo aver rincontrato l’amore, insieme alla possibilità di creare una nuova famiglia. Grande cantore della mafia insieme a Martin Scorsese, Coppola si è sempre distinto dal collega per una diversa visione dell’istituzione familiare: se per Scorsese il clan mafioso è sinonimo di tribù, per Coppola, sotto alla tragicità dell’orrore mafioso, sopravvive un sistema di valori positivi legato al concetto di famiglia. Nella produzione degli anni Ottanta, in particolare nelle pellicole legate alla rappresentazione della criminalità giovanile, Coppola ribadisce l’importanza del legame familiare, anche se d’elezione e non di sangue; più in generale, tutto l’impianto produttivo dei film di Coppola, che ha sempre riservato ruoli di rilievo ai parenti più talentuosi, è una riconferma dell’importanza che la famiglia ricopre per il regista. È quindi coerente che Megalopolis, dopo la rappresentazione impietosa e lucida della decadenza dell’american dream, trovi la sua conclusione ottimista nella riconciliazione tra i rivali Catilina e Cicerone (interpretato da Giancarlo Esposito), uniti in una nuova famiglia che si fonda non sull’interesse economico o sul mero legame di sangue, ma sul sincero amore che ne unisce i componenti. Coppola ha iniziato a progettare Megalopolis decenni fa, traendo ispirazione da grandi kolossal quali Metropolis e La fonte meravigliosa (modello anche per The Brutalist, altra recente epopea incentrata sulla figura di un architetto).

Il fatto che il film sia stato realizzato a così grande distanza temporale ha avuto dei risvolti positivi: la decadenza che gli USA hanno vissuto con l’elezione di Trump – parodizzato da Shia LaBeouf nell’interpretazione più brillante della pellicola – ha dato ulteriore forza alla sovrapposizione distopica tra New York e la tarda Roma imperiale, caratterizzata da una classe politica clownesca e dallo strapotere di uno star system sempre più pervasivo (degna di nota la figura di Vesta Sweetwater, parodia di Taylor Swift). Rimangono tuttavia evidenti i limiti tecnologici dell’operazione, che avrebbe richiesto un budget perlomeno raddoppiato dispetto a quello (comunque esorbitante) messo a disposizione. Coppola ha fatto il possibile per realizzare il suo Megalopolis, al quale ha affidato un messaggio testamentario che aveva forte urgenza di comunicare al mondo, ma le tecnologie che sarebbero state necessarie a dare un corpo credibile a un’opera tanto ambiziosa, purtroppo, non sono quelle il regista ha potuto utilizzare. Leggendo dei progetti originali di Coppola, che pensava addirittura a un’opera proiettata in quattro parti in un teatro appositamente costruito, non si può non pensare che Megalopolis, per quanto importante e a tratti geniale, sia destinato a rimanere “the greatest film never made”. 

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