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Giuse The Lizia – Ok Computer

La generazione di Giuse The Lizia è nata con internet, ci è cresciuta, e adesso fa i conti con un mondo che è diverso per altri, ma non per loro. «La direzione? Sto camminando che è meglio di non camminare affatto», dice

Internet ha completamente cambiato tutto. Sì, è una frase ovvia, ma aspettate. Internet ha cambiato davvero tutto per chi si è ritrovato, un giorno, a doverci fare i conti. Ma per chi ci è nato, con internet, è davvero cambiato qualcosa? Ci si sarebbe rapportati in maniera diversa? Non avremmo usato i messaggi privati di Instagram per instaurare amicizie e relazioni? Avremmo continuato a fare le ricerche sulle enciclopedie che una volta si trovavano in casa di chiunque? Sono tutte domande a cui non è poi così facile dare una risposta. Giuse The Lizia non vi darà nessuna di queste risposte, ma con il suo nuovo album Internet è riuscito a scavare in maniera diretta e concreta in un concetto che accomuna tutta la sua generazione, ma anche quelle successive: internet è sempre sullo sfondo. Qualsiasi cosa facciamo, siamo sempre connessi. Abbiamo un mondo a portata di mano. A volte fatichiamo a usarlo, altre volte lo utilizziamo male. Su internet ci si innamora e ci si lascia, si leggono articoli, fake news, storie di persone lontanissime da noi. La generazione di Giuse The Lizia è nata con internet, ci è cresciuta, e adesso fa i conti con un mondo che è diverso per altri, ma non per loro. In queste undici tracce il cantautore ventiduenne, nato e cresciuto a Bagheria, riesce a tracciare una storia che è sua, ma è soprattutto di tutti. Difficile non ritrovarsi nei suoi brani e non ascoltarli facendosi tante domande. Quando esce il disco mettete un paio di occhiali super veloci e ascoltatelo, senza skippare o mettere in pausa, e lasciatevi trasportare in questo mondo che già conoscete bene, ma di cui potreste scoprire ancora tantissimo.

Mi piace cominciare dalla fine, parlando del tour. Come te lo immagini?
La dimensione live è la parte più importante, il momento in cui ha un feedback e riesci a creare un legame con il pubblico. Il primo vero tour che ho fatto è stato bellissimo proprio perché ho trovato una carica potentissima e tanta voglia di aver quell’ora di stacco totale dai problemi della vita, che sono innumerevoli, per concentrarsi sulla musica e basta. Parto da questo, dalla voglia di replicare questo stato d’animo.

Quest’estate hai suonato anche a Indiegeno.
Fantastico, anche perché ho suonato a Palermo, a casa mia, e non ha prezzo aver avuto tutti i miei amici e la mia famiglia lì. Mi ha dato una carica emotiva importante. Poi ho spesso frequentato Indiegeno negli anni e questo live mi ha fatto dire “ah, quindi qualcosa è davvero cambiata nella mia vita” (ride, ndr.).

Il concept che hai scelto per il disco mi piace molto. Chi meglio di noi nati e cresciuti davvero con internet può raccontare tutte le sfaccettature e le influenze che ha avuto e ha sulla nostra vita.
Il punto di partenza è stato Crush. Mi piace che i dischi abbiano una certa logicità tra loro, anche per quanto riguarda il titolo, e cercavamo una parola che come in quel caso andasse a cogliere un qualcosa di generazionale. Poi non è un disco che parla di internet, ma di me, della mia vita… che ha internet perennemente sullo sfondo. In tutto quello che ci riguarda, dal modo in cui ci informiamo alle relazioni, c’è sempre internet e spesso non ce ne rendiamo conto.

In Direzione dici: “Sto ancora cercando la mia direzione ma spesso mi perdo”. Nella sua semplicità descrivi una sensazione che proviamo tutti nella vita. C’è qualcosa che ti fa sentire perso?
Mi sento così quotidianamente, però credo ci siano diverse accezioni dell’essere perso. Ad esempio rispetto al punto di arrivo, perché non so dove sarà tra vent’anni. Non sapere quando arriverà la stabilità economica, relazionale ed emotiva mi fa sentire perso. Però, tutte le cose che faccio nella quotidianità mi fanno sentire perso positivamente, perché mi sento sempre stimolato. Per me questo è importante, e mi va bene.

E per quanto riguarda la direzione?
Ho tante direzioni che sto cercando di seguire e non so bene quale sarà la meta finale. Non so se camperò di musica, sia in termini economici che spirituali, o se a svegliarmi la mattina sarà un bruttissimo impiego pubblico (ride ndr.). Quello che so è che sto facendo delle cose che hanno tante potenziali direzioni e non so dove andrò, ma in questa fase ci sta non saperlo. Sto camminando, ecco, ed è meglio di non camminare affatto.

Ecco, proprio in Baby dici: “Provo un po’ di tutto, ma soltanto per poterlo raccontare, anche se farà male”. A volte per paura di farci male non ci buttiamo mai. Mi sembra capiti molto nelle relazioni.
Possiamo parlarne per ore (ride ndr.). Sono il principale oppositore di questa cosa. Parlo quotidianamente con amici che mi dicono che escono con qualcuno da mesi ma non è una relazione. Ma perché? Ma dagli un nome, che paura hai? Vi vedete tutti i giorni, fate le porcherie, ma dillo che state insieme, e se poi vi lasciate capita. Questa cosa di non dare i nomi è tremendo. Io l’ho sempre fatto, anche sbagliando. Rivendico il diritto di dire: in questo momento mi sento così, mi butto e faccio quella cosa, senza pensare troppo a cosa succederà.

Foto di Simone Biavati

Parliamo di Tonight Gospel, il pezzo con Mecna. Lui trovo sia sempre molto sottovalutato, anche perché in tutti i brani in cui lo sento lo trovo sempre centrato. Poi ricollegandoci a quello che dicevamo prima, nel brano la frase “non è più il tempo delle bitches, è il tempo dell’amore” la trovo azzeccatissima.
Lui facendo quella cosa lì, secondo me, ha scelto di crearsi un pubblico più piccolo ma che lo segue davvero. Fa parte a tutti gli effetti della “cucciolata” rap, ma è riuscito a crearsi una dignità e una credibilità di artista che gli permette di fare quello che fa a modo suo. Per me è un grande perché ha seguito sempre la sua linea stilistica e musicale. La frase che hai citato è un po’ meme, ma Mecna è stato sempre un rapper dentro quel momento che ha sempre avuto il suo point of view. Non parla mai di bitches intese come nella trap, che io ascolto tantissimo e mi piace, ma lui è sempre stato in quel mondo a modo suo.

E invece centomilacarie? Secondo me tu, lui e diversi altri fate parte di una nuova ondata che potrebbe rappresentare la nuova scena che già abbiamo nel rap.
Lavorare insieme è stato bello, e nel suo caso veniamo dalla stessa etichetta, quindi abbiamo avuto tante occasioni per conoscerci e stimarci umanamente ancora prima che artisticamente. Piccoli piccoli è nata dalla volontà di fare un pezzo insieme perché c’è tanta stima umana e grande sintonia in studio. Io avevo questa demo e ci sentivo lui, ed è stato tutto molto spontaneo.

C’è un pezzo di questo disco a cui sei particolarmente legato?
Tutti, perché sono figli miei, ma direi Persi da un po’, che chiude il disco. È un brano molto vero, con dei passaggi testuali che riascoltandoli mi stupiscono, perché sono andato molto in profondità rispetto a cose mie umane ed emotive, mettendole in questo pezzo forse in maniera davvero inedita rispetto al modo in cui mi ero aperto nei pezzi precedenti. Direi questo, perché mi manca mamma (ride ndr.). Ecco, io sono fuorisede e rivendico la mancanza dei genitori. Mi mancano, l’ho detto.

In questi ultimi anni ho proprio notato che rispetto a prima chi va a studiare lontano da casa sente molto di più la mancanza degli affetti, ma anche del luogo in cui è cresciuto. Soprattutto se ti trasferisci in una grande città, poi senti il desiderio di tornare a casa.
Sono d’accordo. Io ho un fratello del Novanta e ha fatto un percorso da fuorisede uguale al mio e confrontandoci emerge proprio la differenza che dici. È un discorso che non riguarda solo gli affetti. Con i tempi ansiogeni e l’ansia performativa che abbiamo, ho tanti coetanei che ambiscono a una stabilità che si collega al voler tornare a casa. Emerge spesso il tema “sai che c’è se trovo un concorso pubblico, 1500 euro torno a vivere in Sicilia, ma che cazzo me ne frega”. Ho delle ambizioni, credo in me stesso, ma a volte faccio anche i conti e mi dico che la stabilità serve, e questo spesso il Sud riesce a dartelo, anche a livello mentale. Sento tutto meno quando sono giù. Prima c’era più voglia di staccarsi, di fare roba forte e rincorrere, invece adesso c’è un ritorno a dire cerchiamo una stabilità diversa.

Rispetto a Crush, cos’è cambiato?
Da un punto di vista musicale ho deciso di spostarmi oltre la comfort zone. Ho sperimentato anche a livello di suoni, con un’accortezza diversa nella scelta. A livello personale ed emotivo sono cambiato e sono maturato. Soprattutto, alcune situazioni che ho attraversato mi hanno fatto abbandonare la visione totalmente pessimista e negativa che ho avuto in tanti pezzi. In questo disco ci sono tante canzoni che lasciano uno spiraglio di speranza e questa cosa mi piace, sono più positivo.


Foto: Simone Biavati
Digital Cover: Jadeite Studio
Coordinamento redazione: Emanuele Camilli 

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