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Come sta l’industria della musica dal vivo in Italia?

Un’analisi approfondita sul panorama degli eventi dal vivo nel nostro Paese, tra opportunità e criticità, con l’obiettivo di stimolare il confronto e proporre spunti di miglioramento

Ho atteso a lungo prima di mettere nero su bianco le prime parole di questa riflessione. La verità è che il tema dei concerti in Italia è così spinoso e complesso che non sapevo davvero da dove iniziare, soprattutto in questo periodo storico. Molti autori ne hanno già parlato in maniera approfondita grazie alla loro esperienza. Il mio obiettivo, quindi, è scattare una fotografia, per quanto possibile chiara e completa, dellʼindustria degli eventi dal vivo in Italia.

Il live non è la copertina di una playlist

Ricordo bene che molto tempo fa ogni location si distingueva dalle altre non solo per la capienza – che è la discriminante più oggettiva di tutte – ma soprattutto per il suo significato intrinseco. Un club non era un palazzetto, un palazzetto non era uno stadio, e nessuno stadio era come San Siro. Questʼultimo era visto come lʼapice della carriera, la massima consacrazione. «Sogno di riempire San Siro» è una frase che ogni artista avrà detto almeno una volta. I tempi sono cambiati, così come i numeri. Di questo ne siamo tutti coscienti. La conseguenza qual è? I management dei fenomeni stagionali o degli artisti in erba, ignorano qualsiasi possibile crescita organica, cercando di cavalcare i momenti di picco. Il problema è che spesso e volentieri questi sono veri e propri momenti, cioè limitati nel tempo, che hanno un inizio ed una fine (spesso molto breve), innescando non poche conseguenze. La crescita organica e sana sembra non essere più di moda. Forse lʼultimo esempio efficace è quello dei Måneskin che, come viene raccontato al BSMT di Gazzoli, i tour manager potevano riempire il forum di Assago subito dopo lʼesperienza di X Factor ma hanno volontariamente scelto i club. E io, in primis, sono rimasto fuori da I Candelai di Palermo perché riempito “a tappoˮ.

Restiamo nel 2017 cosa ci ha offerto quell’anno in Italia oltre al primo tour ufficiale dei Måneskin? In programma troviamo la doppia data dei Coldplay a San Siro, un tour negli stadi di Tiziano Ferro e uno nei palazzetti per i Green Day. Anche Shawn Mendes ne ha riempito uno, lo stesso anno in cui troviamo una combo Justin BieberMartin Garrix e, per i più nostalgici, uno storico Santeria Live di Marra e Guè al Carroponte. Ho cercato intenzionalmente la lista degli artisti che si sono esibiti al Mediolanum Forum e, lʼunico nome che ho trovato “non in lineaˮ con la media meritocratica è quello di Benji & Fede, nel loro momento di massima popolarità. Caso vuole che tornino lì quattro anni dopo per la loro reunion. Nonostante ciò, quella data è stata comunque sold out. Ma un sold out vero… oppure no? Cʼerano ancora biglietti in cassa? Quanti erano gli accrediti? I settori erano tutti in vendita? In maniera abbastanza rude (ma efficace), questo fenomeno è raccontato da Michele Monina su MOW. In breve: si blocca una location, cavalcando i numeri del momento, sperando che questa si riempia al meglio. Se non con i biglietti venduti, attraverso omaggi, sponsor e teli sui settori che riducono la capacità disponibile. Et voilà, pronti a caricare su Instagram la foto con le date del tour e un bel SOLD OUT sopra quella data critica. Con lʼobiettivo di mungere il più possibile gli introiti di questi artisti virali, si finisce per troncare carriere, creare precedenti, distruggere simbolicamente il senso degli show dal vivo. Adesso ne riempie sette di fila ad occhi chiusi, ogni anno, da decenni… ma quanto ci ha messo Vasco Rossi a fare il primo San Siro? Anche lui si è espresso in merito. Provo a contraddirmi, e mi rispondo: allora, secondo questo ragionamento, dovremmo dare le location importanti solo agli artisti che lo meritano per il loro percorso? Così lo riempiranno di sicuro. Beh, no, e non è assolutamente così.

Comunicazione e responsabilità

Un caso studio fondamentale per aiutarci a comporre il puzzle dellʼindustria degli eventi dal vivo è quello dellʼultimo tour dei Negramaro. La band non ha bisogno di presentazioni, possono piacere o meno, ma è indubbio che hanno contribuito alla storia della musica italiana con i loro brani più iconici. Sono tornati nel mercato attraverso la partecipazione allʼultimo Festival di Sanremo, con un brano un poʼ sottotono, posizionandosi in diciannovesima posizione ed essere uno dei pochi a non aver ricevuto nessuna certificazione di rilievo. Tre mesi prima del festival annunciano ben tre stadi, aggiungendone poi altri due in lista. Lʼobiettivo era quello di soddisfare i fan di tutta la penisola, da nord a sud. Facciamo insieme un salto temporale e arriviamo a giugno 2023. Le prime tre date, in ordine, sono Napoli, Udine e Milano. I giorni precedenti al debutto allo stadio Diego Armando Maradona la stampa urla il sold out, un tutto esaurito per la città che avrebbe aperto il tour. Ahimè, non è proprio andata così: la sera del concerto il web è invaso da video che riprendono il prato mezzo vuoto, così come i seggiolini vuoti sugli spalti. La situazione non migliora nella data di Udine, e precipita del tutto dopo la data di San Siro. La scala del calcio, e della musica, non perdona. Esiste un modo per risolvere questo disastro? Forse, siamo certi però che qualsiasi via non avrebbe fatto uscire tutti indenni. Quella che hanno scelto di seguire, però, è stata proprio la peggiore. A pochi giorni dalle date di Messina e Bari, con una comunicazione che mette sotto al tappeto la polvere, il gruppo ha annunciato nei loro canali social un tour nei palazzetti per il 2025, annullando i due concerti dei giorni successivi. I biglietti acquistati per gli stadi sarebbero stati validi per la prossima tournée. Non credo sia necessario raccontare il putiferio dopo lʼannuncio.

Se inizio ad elencare tutti i difetti di questa scelta non finirei più, ma voglio focalizzarmi su quello più importante secondo me, nonché quello che da il titolo a questo capitolo: la comunicazione. “Lʼenergia degli Stadi è diventata desiderio di futuro” è uno slogan palesemente finto. Le perdite andavano colmate, ok, ma il vostro pubblico non è stupido. Non sto dicendo che bisognava urlare al fallimento, ma sicuramente il tono che è stato scelto non sarà stato apprezzato dal fan che aveva acquistato il biglietto da quasi un anno e aveva organizzato una trasferta per vedere il suo gruppo preferito, ed ora si ritrova con tante prenotazioni cadute nel vuoto e un biglietto non rimborsabile. Lʼimportanza nella storia non giustifica il noleggio di una location che non si è certi di riempire – visto il periodo storico. Ne sanno qualcosa i Club Dogo, che dopo i dieci Forum hanno riempito un San Siro, senza però mandarlo sold-out. Comprensibile, dopo il mega tour primaverile. Assurdo, invece, vista lʼimportanza del gruppo per il rap italiano e per la storia di questo genere, che non ci sia stato un tutto esaurito. Paradossale, infine, che pochi giorni prima nella stessa location si sia esibito il loro figlioccio musicale, Sfera Ebbasta, che per due sere di fila il tutto esaurito lʼha fatto XDVR. Ma è proprio sul live dei Club Dogo che mi voglio soffermare.

Neanche Milano può salvarci

San Siro, Forum DʼAssago, i due Ippodromi, il Carroponte e tutte le altre strutture che vengono usate per festival e concerti di ogni tipo di capienza. Questa è la Milano musicale. Spesso, con lʼenorme palinsesto annuale, la città diventa sinonimo di concerti di qualità, complice il fatto lʼesclusività nazionale di molti artisti stranieri. Nonostante ciò, avete già capito il motivo per cui ne stiamo parlando in questo articolo. Anche se il novanta per cento dei media italiani non si sia espresso sulla vicenda, se il live dei Dogo è stato emotivamente spumeggiante, lo stesso non possiamo dire dellʼaudio. I commenti sotto i post parlano chiaro: tutti i settori hanno avuto unʼacustica pessima. Volumi dei microfoni non bilanciati, basi che sovrastavano le voci e fastidiosi riverberi durante tutto il live. E non è la prima volta che in eventi del genere vengono causati così tanti problemi. Ricordo bene che anche la prima volta di Kendrick Lamar in Italia, allʼIppodromo San Siro, a livello di audio era stato un flop. Hanno sentito poco e nulla, altri sentivano solo un audio che “faceva ritornoˮ come si dice in gergo tecnico. Ma non sono poche le esperienze negative che coinvolgono tutte le strutture nel quartiere di San Siro. Vi consiglio di ascoltare lʼanalisi di Davide Russo sui concerti che ha frequentato e vi renderete conto che non cʼè neanche distinzione tra i generi: la qualità di questi grandi eventi è diminuita drasticamente. Bisognerebbe aprire una parentesi infinita invece sulle condizioni dei prati e delle strutture, che come racconta Vittorio Comand su Rockit rende il PIT lʼunica vera possibilità di godere a pieno del concerto, creando unʼeccessiva diseguaglianza tra i settori. Posizionatevi fuori dallʼIppodromo, provate a fermare una persona che ha visto il concerto nel settore “popolareˮ ed una nel PIT. Vi racconteranno due live totalmente diversi, la maggior parte delle volte opposti.

Parliamo degli show?

Qui mi soffermerò davvero poco, anche perché è impossibile fare un discorso generale sulle line-up e sulle singole esibizioni. A parer mio, a livello nazionale chi fa un buon lavoro sul palco si vede perché continua imperterrito con la sua carriera. Con le dovute distinzioni e qualità relativa al pubblico che raggiungono, se Salmo, Ultimo e Geolier continuano a riempire è perché evidentemente il loro lavoro lo sanno fare bene. Discorso diverso, invece, per i live degli artisti stranieri, spesso ridotto a meno di unʼora per i live di media fascia e meno di due per gli eventi megagalattici. E qui la domanda sorge spontanea: dipende dagli artisti o dagli organizzatori? Lʼultimo grande polverone ha visto coinvolto Tedua e la sua doppietta agli I-Days di Milano. Solo dopo che la data è andata sold out, ha annunciato un guest che chiunque sia amante del genere avrebbe piacevolmente ascoltato in uno show da solista: 21 Savage. Per rincarare la dose, nella data successiva è stato annunciato Offset, ma lì i biglietti erano ancora disponibili. Diverse sono le speculazioni che sono state fino alla data. Come reagirà il pubblico? Ma è 21 Savage che apre Tedua o viceversa? E Offset invece? Ma farà un live intero? Devo pagare un live intero per vederne metà che mi piace? Insomma, alla fine le due date si sono svolte, i due rapper statunitensi hanno suonato una decina di minuti molto prima del main show e, come raccontano le clip sul web, il pubblico ha reagito proprio male. Tedua ha risposto con delle storie su Instagram un paio di giorni dopo la data, mettendo a tacere ogni possibile dubbio. Nonostante ciò, molti sono coloro che si sono ritenuti beffati ancora una volta da unʼorganizzazione ampiamente discutibile sulla gestione dei volti internazionali. Anche perché, questi biglietti, hanno un prezzo non indifferente.

A chi può permetterselo

Leggendo i suoi articoli da sempre non posso che fare riferimento ai numerevoli scritti di Damir Ivic per tutti i temi che abbiamo toccato in questo lungo editoriale. La maggior parte sono pubblicati su Soundwall e uno in particolare è ben collegato allʼultima riflessione pubblicata su Outpump. I concerti sono diventati sempre più importanti per gli artisti, la principale fonte di sostentamento economico… e quindi sempre più cari. Dietro un singolo show campano centinaia di addetti ai lavori e anche quelli, in qualche modo, vanno pagati. Unʼinflazione esagerata che ha preso anche questo settore che, per quanto poco morale, sta diventando sempre meno popolare, portando a fare delle scelte. Che siano palazzetti o stadi, nazionali o internazionali, il costo medio di un biglietto dʼingresso in un settore di media fascia si è stabilizzata sul centinaio di euro. Per chi è appassionato di musica, questa è una cifra non indifferente soprattutto se il desiderio è quello di partecipare a più eventi dal vivo. Una volta trasferito a Milano avevo intenzione di non perdermi neanche un evento, dove non cʼerano accrediti il mio portafogli ha risposto “behˮ. Da un lato questo spesso garantisce uno show ancora più unico, rendendo speciali queste esperienze. Dallʼaltro, però, il rischio di rimanere delusi è davvero molto molto alto. Per non parlare poi della corsa allʼacquisto… un anno e mezzo prima. Qui bisognerebbe fare una grande digressione che gli addetti ai lavori conoscono bene, perchè ci colleghiamo esattamente al discorso prima. Il denaro circola sempre di più e qualcuno dovrà pur anticipare questi enormi capitali. Parte di questi anticipi sono saldati anche grazie ai fan più accaniti che aspettano con ansia il drop su TicketOne e fanno quattro ore di fila digitale per accaparrarsi il loro biglietto.

Conclusioni

Complice la redditività del mercato, in qualità di ascoltatore della musica urban (e ciò che ne gravita intorno) che dimora a Milano, non posso che essere felice delle opportunità che il palinsesto mi offre. Nonostante ciò, da un punto di vista strettamente commerciale, le pecche del servizio dellʼintrattenimento sono davvero molte. In questo articolo abbiamo “semplificatoˮ davvero molti temi, ma la catena di produzione è molto più complessa di quella che abbiamo descritto. Mesi e mesi di preparazione per un evento della durata di un paio dʼore, in cui vengono coinvolti un numero davvero elevato di lavoratori di ogni tipo, mansione e ceto sociale. È a coloro che si trovano ai vertici di questa catena di produzione che mi rivolgo: il consumatore finale del vostro lavoro è sempre lo spettatore. Come tutti i processi di produzione che diventano sempre più “user-centricˮ, mi chiedo come mai nellʼindustria dellʼintrattenimento si stia andando verso la direzione opposta. Se i consumatori espongono delle lamentele, ahimè, non possiamo ignorarli.