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Gli underdog album del 2024 da recuperare subito

Da “Pratts & Pain” dei Royel Otis a “The King of Misery” di Daudi Matsiko, ma anche “Black Classical Music” di Yussef Dayes. Spoiler: questa non è un’altra stupida chart sui migliori album del 2024

Fare resoconti finali dell’anno che sta per concludersi è roba da nostalgici pignoli, a chi legge la libertà di non proseguire oltre. Se per l’uomo l’anno solare rappresenta la misura dell’inesorabile avvicinamento alla fine, per un disco assume un significato differente: non morirà mai con il proprio autore, non fa parte della sua essenza, è stato concepito per essere donato all’eternità. La morte dell’album è strettamente legata alla memoria, fin quando ci sarà qualcuno a ricordarlo la sua vita sarà al sicuro. Forse è proprio questa una delle attenuanti che pulisce il nostro boccone dall’acredine di tristissime raccolte come i “100 best albums of the 90’s”. Abbiamo il terrore di dimenticare le cose che ci stanno a cuore, le cataloghiamo da sempre per paura di perderle. Nasce con l’uomo l’esigenza di tramandare ai posteri tutto ciò che di bello ha vissuto, ascoltato, toccato, imparato. Non c’è differenza alcuna tra il mettere per iscritto da qualche parte in giro sul web la lista dei migliori dischi pop punk dei primi Duemila e incidere sulle pareti di qualche caverna tutto quello che abbiamo imparato sulla caccia. Il concetto che muove entrambi i gesti è il medesimo. La paura di essere dimenticati ci spinge ad archiviare e preservare la nostra arte da sempre, a ragion veduta, in alcuni casi. Ben nota è l’incoerenza di chi vi parla in materia di raccolte musicali. Ripudiarle per poi tenerle strette a se, questo è l’esatto susseguirsi degli eventi. Sì, perché per chiunque decida di accumulare musica, che sia in vinile o in digitale, arriva il momento di catalogare ed etichettare, di fare ordine nella propria testa e lasciare spazio a tutto quello che di nuovo arriverà. Per preservare la coscienza da liste decisamente pretenziose sui migliori album del 2024 che creerebbero solo sterile dibattito, oggi ci muoveremo diversamente, scansando ogni tipo di “per me al posto di questo ci va quest’altro”. E anche per fare un po’ gli alternativi, non guasta mai.

Royel Otis, Pratts & Pain

Pochi fronzoli, spensieratezza. Quello del duo australiano è un album fresco, generazionale. Ci fa dimenticare le ansie e venir voglia di ballare, senza pensieri. Le influenze sono indie rock e pop, il mix di batterie elettroniche e acustiche rende alla perfezione. Voci, melodie e leads sono lineari, puliti, riconoscibili, l’effetto che ne deriva è divertente, di facile comprensione. È bello senza complicazioni, ci fa stare bene.

Bassolino, Città futura

Se da un momento all’altro venissimo catapultati in un poliziesco anni Settanta ambientato tra i vicoli dei Quartieri Spagnoli, con tutta probabilità, la colonna sonora che ci accompagnerebbe sarebbe questo disco. C’è del prog, jazz funk, pop melodico della tradizione napoletana. Il miscuglio tra mediterraneo e musica d’oltreoceano è vincente, l’immaginario è nitido e ben costruito. Il quid in più? Arrangiamenti da manuale.

Motherless Father, LeFtO Early Bird

Una sola parola utilizzabile: virtuosismo. Raro che un album possa generare così tante sensazioni diverse. È straniante, denso di fascino. Elettronica sperimentale, jazz, soul, house vecchia scuola. L’incontro tra le due dimensioni, quella strumentale e quella elettronica, genera un’esperienza senza precedenti. Ci riporta alla mente emozioni profondissime, risveglia sentimenti dimenticati. Difficile da capire fino in fondo, ma basta un attimo per restarne stupefatti.

Promessa, Danza del grano

Ci servirà ancora un po’ di tempo per capire se il rap italiano stia ritrovando interpreti credibili nelle nuove generazioni, ma una cosa è certa, Promessa infonde buone speranze. Metriche e produzioni pulite, ottima attitudine nel flow, moderno dal retrogusto un po’ vintage. Chicchi di mais e Stessi pareri due tracce potenti nella loro essenzialità. Il ragazzo si farà.

Cruza, Cruzafied

Psych-RnB, neo soul, atmosfere cupe e riflessive. L’andamento del disco è costante, con scarsa soluzione di continuità tra una traccia e l’altra che ne enfatizza l’effetto meditativo. Elementi ritmici dalla 808, linee di basso impattanti, voci sfumate e chitarre elettriche a costruire una dimensione surreale, onirica.

Coca Puma, Panorama Olivia

La maturità artistica che non ti aspetti da un’emergente. Il disco è magnetico, un suono elettronico di grande spessore accompagnato dai vocals dream pop colpisce con delicatezza. La narrazione è profondamente personale e la texture eterea. Panorama Olivia è un disco che ti sfugge dalle mani, va maneggiato con molta cura, è prezioso.

Mk Gee, Two Star & The Dream Police

Di tutto e di più in un solo album. Questa è quella che in gergo tecnico viene definita una “paraculata”, Treccani docet. Il motivo? Two Star & The Dream Police non ha bisogno di endorsement particolari, men che meno dei nostri. È un album costruito su più strati, su più generi, non necessita di descrizioni particolari che lo sminuirebbero soltanto. Questo è solo un piccolo contributo alla diffusione su larga scala di un lavoro di eccezionale pregio.

Cola, The Gloss

Il gruppo canadese più newyorkese che ci sia. Se i Wire e i Talking Heads avessero concepito un figlio che da adolescente cerca di imparare dai propri genitori a fare il punk e renderlo moderno, si chiamerebbe The Gloss. Post punk dai suoni essenziali, chitarre minimali, una voce solista incredibilmente autentica. Non serve nient’altro.

Daudi Matsiko, The King of Misery

Precauzioni per l’uso: potrebbe causare mental breakdown da non sottovalutare, non utilizzare in momenti di sconforto, farebbe soltanto peggio. Da tempo non ci capitava di ascoltare un album così struggente e intimo. Gli arrangiamenti scarni e la voce soffusa, quasi tremante, lo caricano di un’emotività rara, inestimabile. Difficile comprendere come un’artista possa mettere a nudo in modo così tenue e delicato la propria interiorità, un dono.

Yussef Dayes, Black Classical Music

Bugia bianca, perché questo è un disco che debutta a fine 2023, ma merita di diritto un posto in questa piccola raccolta. Oltre settanta minuti di pura contaminazione. Cosmic jazz, funk, raggae, tutto coordinato da uno dei più grandi interpreti del jazz contemporaneo. Black Classical Music è la celebrazione potentissima di una cultura che ha radici troppo profonde per essere dimenticate.